Gli
strani casi che ti riserva la vita: proprio mentre alla radio stanno
dando la notizia che Gwyneth
Paltrow
e Chris
Martin,
dopo undici anni di matrimonio, hanno optato, “con il cuore pieno
di tristezza”, per un “consapevole
distacco”
(in altre parole, di separarsi), al tavolino del bar dove ci stiamo
bevendo un caffè, la mia amica Veronica, con due fontane negli occhi
e le mani piene di kleenex, mi comunica che Andrea se ne è andato di
casa.
«Ci
lasciamo ma con amore» hanno precisato la star premio Oscar e il
leader dei Coldplay, così come, prima di loro, avevano fatto anche
Monica
Bellucci
e Vincent
Cassel.
«È
stato davvero difficile preparargli le valigie e vederlo lasciare le
chiavi sul tavolo... siamo ancora innamorati ma anche consapevoli che
insieme non saremmo felici» continua a ripetermi la mia amica.
E
chi se ne frega?
Chiederete voi.
Frega,
frega.
Non
i fatti personali di coppie più o meno famose ma il motivo che pare
stare dietro alla rottura di matrimoni che sembravano collaudati.
Prendete Susan
Sarandon
e Tim
Robbins,
che si sono lasciati dopo 23 anni di vita insieme, o Clint
Eastwood
e la seconda moglie Dina,
dopo 17. Possibile che dopo tutto quel tempo insieme un rapporto
possa vacillare come un
dente da latte?
Ok,
quello perfetto non esiste.
Si
sa: per far funzionare una relazione bisogna farsi un paiolo tanto. È
opportuno smussare qualche spigolo e imparare ora a sdrammatizzare,
ora a tacere; vanno continuamente trovati equilibri e compromessi;
bisogna dosare con cura miele e peperoncino e trovare un giusto
bilanciamento tra “io”, “tu” e “noi”.
A
parole, sembra facile ma nella vita di tutti i giorni mica è sempre
tutto “sole, cuore e amore” come vorrebbe Valeria Rossi.
Un
team di psicoterapeuti ed analisti si è messo a studiare questa
ecatombe nelle relazioni di lunga durata arrivando a una conclusione
davvero bizzarra: quando le farfalle smettono di fare le capriole
nello stomaco e si scende dal lunapark degli ormoni, quando le
emozioni e l'andamento da Brucomela
che assume nel corso degli anni una storia iniziano a puzzare un po'
di stantio ed a causare qualche sbadiglio, uomini e donne –
ciascuno a modo loro – diventano insofferenti.
E
cioè: la donna del ventunesimo secolo soffre di “androfobia”,
una patologia che la porta a cogliere dell'uomo solo i suoi difetti,
le sue disattenzioni e i suoi egoismi. L'uomo, dal canto suo, è
affetto da “anoressia
sentimentale”
(o, se preferite usare il curioso neologismo coniato apposta per
descrivere questo disturbo, da “amoressia”), cioè sviluppa la
tendenza, che diviene col tempo abitudine, a non lasciarsi andare per
evitare di soffrire.
«Non
sono gli uomini ad essere inadeguati. Sono le donne a nutrire
aspettative distorte e a mostrarsi ipercritiche nei loro confronti»,
sostengono gli psicologi americani Connell
Cowan
e Melvyn
Kinder.
«Quando
si inizia a percepire una sorta di distacco emotivo nel partner è
perché ha iniziato a vedere nell'oggetto amato solo colpe e fonte di
preoccupazioni. Parlarne non serve. Meglio riversare il proprio
affetto sugli amici o sugli animali domestici» suggeriscono alcuni
colleghi italiani.
Bah!
A me tutte queste elucubrazioni lasciano alquanto perplessa.
Vi
dirò: io non sono una psicologa e ne capirò poco di dinamiche
interpersonali ma secondo me, se due si lasciano – dopo uno, dieci
o cinquant'anni – è perché lui
non è LUI e lei non è LEI
e tutto sommato è giusto che entrambi continuino il proprio cammino
andandone in cerca.
...
perché mica
solo a quella “gran culo di Cenerentola”,
per dirla alla Vivian Ward (aka Julia Roberts, “Pretty Woman”), è
andata bene in amore!