E
non venitemela a raccontare che nella vita tutto torna, che chi
semina vento raccoglie tempesta e che tutti i salmi finiscono in
gloria.
Bla,
bla, bla.
Avete
presente la canzone di Elio, vero?
Sì,
parlo di “Servi della gleba” e soprattuto della frase «lei è il
mio piccione ed io il suo monumento», applicabile non solo al
rapporto uomo / donna ma direi a tutte le relazioni interpersonali
che ciascuno di noi può allacciare nel corso della sua vita. Voglio
dire: potenzialmente possiamo diventare il piccione o il monumento di
chiunque, dal partner all'amico, dal capo al collega di lavoro. E non
sempre la cosa si traduce in una esperienza esaltante. Anzi.
Vi
parlo della mia di esperienza e vi racconto di “Miss Piccione” (e
va da sé che nella storiella che vi sto per raccontare a me sia
toccata la parte del monumento).
Miss Piccione in gran spolvero |
Per
strani casi della vita, qualche anno fa, con questo amabile (è detto
in senso ironico, ovviamente) personaggio si è instaurato un
sodalizio lavorativo che, come quasi sempre accade, all'inizio
sfiorava l'idillio e io, proverbialmente incapace a “decifrare” i
miei interlocutori, la vedevo quasi come una Madonna (non nel senso
della cantante): finalmente sul mio percorso, una persona che aveva
capito il mio potenziale e che aveva deciso di sfruttarlo in maniera
adeguata!
Sì,
sì... il mio potenziale l'aveva capito e l'ha pure sfruttato. Ma in
maniera adeguata PER LEI. Ora, non scendo nei dettagli ed eviterò di
deliziarvi raccontandovi gli epiteti con cui venivo chiamata o gli
episodi mortificanti che mi hanno visto protagonista, bontà sua: la
responsabilità è di Miss Piccione fino a un certo punto. Cioè:
posto che nessuno dovrebbe permettersi di trattare il prossimo come
se fosse uno zerbino (ma questo sta all'intelligenza del singolo),
toccava a me mettere dei paletti da non oltrepassare e far rispettare
quel divieto d'accesso.
Il transito di Miss Piccione... |
Avete
presente la scena di Pasquale (aka Lino Banfi) nelle vesti di
cameriere nel film “Vieni avanti cretino”? Ecco, lei era simile
al rude titolare del bar, il signor Gargiulo, che chiariva efficacemente la
sua intolleranza nei confronti degli errori con questo edulcorato
ammonimento: «Arricordate ’na cosa. Io me chiamo Salvatore
Gargiulo e se tu te sbagli 'na comanda, io te rompo er...».
Lei
era uguale, uguale, uguale.
Ebbene
sì: esistono anche nella realtà (e non solo nella finzione
cinematografica) persone così, che, per nascondere – in primis a
se stessi – le proprie frustrazioni e debolezze, fanno la voce
grossa e godono nel prendersela con chi incassa in silenzio.
Il
problema è che io non sono mai stata una remissiva ed il fatto che
avessi accettato per un certo lasso di tempo quella parte da serva
della gleba, non significava che avrei sopportato in eterno. Era
quindi inevitabile che prima o poi si arrivasse allo scontro diretto.
Ma questa è un'altra storia.
Nella
pagina facebook di questo blog (ecco, tra parentesi: questo blog da
pochi giorni ha anche una pagina facebook, quindi non avete
più scuse per NON fiondarvi nel cassonetto!) si disquisiva con la
geniale Claudia, dispensatrice di saggi consigli sui prossimi
argomenti da affrontare, sull'importanza di essere ironici e lei se
ne è uscita con questa grande verità: «Gli anni della scuola sono
stati molto utili perché mi hanno aiutato a capire che di solito chi
ti prende di mira è molto più sfigato di te».
Ecco:
mi piace pensarla così. Che la mia Miss Piccione sia una tale
poveretta che nella sua inutile vita non trovi maggiori soddisfazioni
che accanirsi contro il capro espiatorio di turno.
E
concludo prendendo spunto dalla testimonianza di Elisa che, sempre
sul nostro blog, racconta di non aver avuto il coraggio di confessare
alla sua ex migliore amica – da lei “definita elemento poco
stabile” – di non avere i suoi stessi gusti per non urtarne la
suscettibilità.
Che
senso ha autovietarsi di essere se stessi per compiacere qualcuno?
Non ne vale la pena!
Morale
della favola: cercate di non lasciarvi mai mettere i piedi in
testa... anche perché l'alternativa b è quella prospettata da Elio
sul finale della canzone citata (che per chi non la conoscesse,
termina con la provocatoria proposta: «Cosa devo fare? Mi vuoi
mettere una scopa in culo così ti ramazzo la stanza?»).
A
voi le conclusioni...
N.
B. = Vorrei soffermare la vostra attenzione sull'apparato
iconografico di questo post e soprattutto sui casi della vita:
trovare la foto di un piccione era cosa semplice, quella del
monumento scagazzato era impresa un po' più problematica tanto più
che in questi giorni qui diluvia che è un piacere (e poi il
soggetto, per esemplificare il concetto espresso nel post, mi
sembrava un po' banalotto). Ma mentre sei lì che pensi ad una
soluzione, vai a ritirare un pacco in posta cinque – minuti –
cinque e al tuo ritorno ti ritrovi Camilla (che è la mia macchina)
conciata così. Era destino che oggi scrivessi questo post!