lunedì 16 settembre 2013

Back to 80's... METTI UNA DOMENICA MATTINA A RADIO 24


«Trey? Gioia di papà... vieni in giardino che giochiamo un po' all'aria aperta», propone entusiasta il signor Blair.
«Non ci penso neanche, daddy!» ribatte deciso il piccoletto, alle prese col suo tablet.
Gelo.
Deve essere andata più o meno così a casa McMillan qualche mese fa. Ma il tenace capofamiglia non si è dato per vinto e a fronte del rifiuto ha elaborato questa anticonformistica pensata: mettere al bando gli strumenti tecnologici nati negli ultimi vent'anni e tornare a vivere per 365 giorni come nel 1986 (anno che, oltre ad essere quello di nascita di Blair e della moglie Morgan, fu anche ricco di eventi passati alla storia: a gennaio lo Space Shuttle esplose durante il decollo, ad aprile la centrale di Chernobyl diffuse in tutta Europa la sua nube radioattiva, a giugno ai Mondiali in Messico, nella sfida ai quarti tra Argentina e Inghilterra, Maradona segnò le sue due reti più celebri, una etichettata come Mano de Dios e l'altra eletta gol del secolo, mentre ad agosto i Queen si esibirono insieme per l’ultima volta).

Un raggiante Blair con il suo poco vistoso stereo rosa confetto

E così le mensole si riempiono di nuovo di libri, in auto il navigatore viene sostituito dalle cartine cartacee e il maneggevole lettore mp3 è stato accantonato per far posto all'ingombrante stereo con cassette come ha dichiarato, orgogliosa della decisione presa, la famiglia canadese al “Toronto Sun”. Ma anche il look e le mode tricologiche hanno fatto un salto nel passato: se lui sfoggia con orgoglio una capigliatura a metà strada tra Joey Tempest degli Europe e Ivano Michetti dei Cugini di Campagna nonché jeans ad altezza quasi ascellare e con risvolto stile “acqua in casa”, la sua dolce metà indossa maxipull e accessori dai colori elettrici, effetto evidenziatore ambulante (se poi riesumerà anche le agghiaccianti spalline imbottite merita un premio per il coraggio).
Da questa notizia di cronaca, complice la informazioni trovate in rete sul libro “Correva l'anno della Girella”, scritto con Giampiero “Canna” Canneddu, nasce la partecipazione di ieri a “Il riposo del guerriero”, l'interessante programma condotto da Stefano Gallarini su Radio 24, due ore volate a colpi di flashback e di piacevoli zapping con la memoria.

Stefano, Giampiero, Elisabetta
E da buoni paladini degli anni Ottanta, stavamo al tema della puntata come le lenticchie con il cotechino nel menù di capodanno.
Sono entrata in quel decennio che ero una bambina e ne sono uscita adolescente, ritornavo a casa da scuola sulle note della musichetta de “Il pranzo è servito”, passavo i miei pomeriggi in compagnia di un cane rosa di nome Uan, cantavo con Cristina D’Avena, ballavo sulle note di “Disco bambina” di Heather Parisi, a cinque anni sapevo già chi fosse Apollo grazie a sua figlia Pollon, ho imparato a suonare il flauto solo perché avrei voluto unirmi alla compagnia di Vitali per dare una mano a quel disgraziato di Remì e nel 1984 avrei fatto carte false per andare a Ibiza, affascinata dal manifesto di promozione turistica firmato da Sandy Marton.
Mi sono chiesta spesso cosa fosse di preciso il “colpo della pietà di Hokuto” o un “razzo missile” e se i Righeira fossero davvero fratelli, per risolvere lo snervante cubo di Rubik ricorrevo al bieco trucco si staccare alla vigliacca le etichette colorate, odiavo l'Allegro chirurgo e a lungo, ma infruttuosamente, mi sono allenata per elaborare una valida risposta al servizio “a foglia cadente” di Mimì Ayuhara, l'acrobatica Francesca Piccinini del Sol Levante, capace di tirare randellate tali da deformare i palloni che diventavano delle specie di missili terra-aria, dopo aver allegramente piroettato dieci minuti in aria in nome di chissà quale misteriosa legge fisica.
Ho segretamente sperato di non seguire in amore le stesse orme di quella sfigata di Candy Candy, Veronica Castro è stata la mia eroina, ho quasi fuso la cassetta del Boss a forza di ascoltare Born in the Usa nel walkman, sognavo di farmi multare da un agente figo come Ponch, di essere confessata da un prete charmant come padre Ralph e di incontrare pure io in una lavanderia a gettoni un bel figliuolo come Nick Kamen che, pronti via, se ne resti con nonchalance in boxer in attesa che i suoi jeans siano pronti come ha fatto il pupillo di Madonna in quei celebri 30 secondi di spot (al che, non è per fare a tutti i costi i maligni, ma viene spontaneo chiedersi se fossero proprio le potenzialità canore ad aver colpito la signora Ciccone).
Appartengo a quella generazione che a forza di “celo, celo, manca” riusciva, a fatica, a completare un album delle figu, che spacciava le gomme profumate, che sa completare la frase «Luisa arriva presto, finisce presto e di solito non pulisce il...», che finite le vacanze si fiondava nei negozi di fotografia a portare i rullini di pellicola (e doveva aspettare cinque giorni prima di rivedere i ricordi del mare) e che ogni volta che si imbarca su un traghetto non riesce a trattenersi dall'intonare “Mare, profumo di mareee!”.
E per dirla tutta, vorrei anche io una DeLorean che mi permettesse di tornare per un po' in quel decennio, con tutti i suoi aspetti positivi e tutte le sue magagne. Viaggiavamo in macchina senza air bag, senza cinture né seggiolini speciali, i medicinali non avevano chiusure a prova di bambino, correvamo il rischio scoliosi andando a scuola con zaini (privi di rotelle e di spalline imbottite) stracarichi di libri e quaderni e si girovagava in bici senza casco ma quanto era educativa una sana sbucciatura al ginocchio!
Ho assunto litri di Billy, mi sono scofanata confezioni su confezioni di merendine del Mulino Bianco solo per fare incetta di sorprese da barattare, ho masticato (e spesso inavvertitamente ingoiato) le Big Babol eppure sono ancora viva!
Non esistevano i cellulari né gli sms, siamo cresciuti senza Playstation, Nintendo Ds, dolby surround e satellite, avevamo a nostra disposizione una manciata scarsa di canali tv, un solo telefono (e per giunta fisso e “a rotella”) e quando abbiamo messo piede per la prima volta a Gardaland il “Magic Mountain” e il “Colorado Boat” ci sembravano attrazioni fantascientifiche (e un po’ ci facevano pure paura) ma per divertirci bastavano un sacchetto di biglie di plastica (quelle con dentro le foto dei campioni di ciclismo come Moser, Saronni, LeMond, Gimondi, Bitossi), un foglio di carta e una matita per indovinare la parola segreta a “l’impiccato” senza schiattare sul patibolo, uno spazio dove nascondere un oggetto e ritrovarlo solo grazie a tre indicazioni – “acqua”, se si era completamente fuori strada, “fuochino”, se ci si stava avvicinando, “fuoco” se si era a un passo – o un fazzoletto che serviva da bandierina. E se perdevi, c’era la penitenza. Ovvero “dire, fare, baciare, lettera o testamento”.
E se qualcuno storce un po' il naso a pensare una seriosa filologa capottarsi senza ritegno dal ridere vedendo il bidello Mario (l'indimenticabile Massimo Troisi) ed il maestro elementare Saverio (Roberto Benigni), catapultati per un buffo scherzo del destino a Frittole nel 1492, alle prese con un doganiere che, entrato in una sorta di looping, continua a chiedere loro, noncurante delle loro risposte, «Ehi! Chi siete? Cosa fate? Cosa portate? Sì ma, quanti siete? Un fiorino!» o il goffo Pasquale Baudaffi (aka Lino Banfi) prima nelle vesti di cameriere, alle dipendenze di un rude titolare poco tollerante degli errori, ed esasperato da originali ordinazioni (ora un caffè con un po’ di humor, ora con un goccio d'utopia), poi apprendista in una azienda elettronica, chiamato a svolgere mansioni alienanti (come zufolare nell’avvisatore acustico per avviare il circuito Y di rigore) con un direttore schizofrenico e pieno di tic, tale dottor Tomas, è perché non ha mai visto “Non ci resta che piangere” e “Vieni avanti cretino”, due perle della cinematografia anni Ottanta.
Ben vengano dunque revival come quello di ieri, per soffermarci a chiederci, anche noi come Raf, cosa resterà degli anni Ottanta e per provare quella stessa sensazione di quando ci imbattiamo, in fase di trasloco o di pulizie di primavera, in una scatola malconcia e che sa un po' di muffa, tenuta insieme con lo scotch e con dentro le istruzioni ingiallite. Proprio non sappiamo resistere: estraiamo quel cimelio della nostra infanzia e iniziamo a giocare (e ricordatevi: se ha gli occhiali, la pelata e la faccia un po’ da culo, o è Tom o è Sam!).


 A Stefano Gallarini e a Giorgio De Luca quindi, un grazie di cuore per l'invito e per l'accoglienza!

lunedì 9 settembre 2013

CACARELLE ALLUCINANTI, PIZZE ALLA SALSICCIA E DITA NEI RUBINETTI


Siamo quasi alla metà di settembre, in questi giorni un po' in tutta Italia stanno riprendendo le lezioni ed anche quanti hanno fatto le ferie sul finire di agosto stanno guadagnando la strada di casa.
A sentire le lamentele che mi sono giunte alle orecchie, pare che la maggior parte di voi si accinga a tornare al lavoro quasi più stanco di prima dell'interruzione – problema che non mi tocca dato che quest'anno io le ferie non le ho fatte e me ne sono stata, summo cum gaudio, nella canicola ferragostana a farmi aria con le mie inseparabili pergamene – quindi mi è sembrata una scelta filantropica e generosa suggerirvi qualche scusa da utilizzare per giustificare una vostra assenza, pronti via, a pochi giorni dal rientro.

Il mondo della scuola – stando agli esilaranti racconti di alcune amiche insegnanti e all'imbarazzante raccolta di John Beer (autore del libro “L'alunno è stato assente causa assedio testimoni di Geova. Le giustificazioni più strampalate d'Italia”) – offre spunti impareggiabili.
Che dire dei genitori che hanno creato inverosimili giustificazioni tipo «Gentile prof. XY, mio figlio non è riuscito a terminare i compiti assegnati per oggi in quanto il carico di lavoro è a mio avviso a dir poco eccessivo. Il ragazzo è giovane e necessita di svago che non mi sento di negargli», o «Giustifico l'assenza del 26 settembre per cacarella allucinante» o ancora «L'alunno XY è stato assente in data 5 marzo per il seguente motivo: lasciamo perdere... non capirebbe» e «Chiedo di giustificare l'assenza di mio figlio del giorno 12 febbraio poiché era controvento e non è riuscito a raggiungere il pullman in tempo»?
Vorrei poi conoscere personalmente, per avere la soddisfazione di stringere loro la mano, i creatori di queste perle di (più o meno) involontario umorismo: «L'alunno XY entra in classe alla terza ora asserendo di essersi attardato a causa di un gregge di pecore che, a sua detta, gli avrebbe ostruito il passaggio. Lo stesso sostiene di essersi addormentato contandole. Non è la prima volta che XY si prende gioco della sottoscritta», «XY entra alle ore 10.20 affermandosi di essersi attardata nel rincorrere Bianconiglio. Prego ripresentare giustificazione motivata e firmata da un genitore». E che dire di «Giustifico la mia uscita dall'edificio scolastico durante l'intervallo poiché sono andato a comperare tre pizzette con la salsiccia» e «L'alunna XY giustifica l'assenza del 17 marzo perché il numero 17 porta sfiga e quindi non si è mossa di casa»?
E in quanto a vaccate fotoniche, si continua a sfornarne anche una volta entrati nel mondo del lavoro.

Eccellente motivo per giustificare una chiusura (Milano, agosto 2013)

Secondo un'indagine svolta la scorsa primavera dalla Benenden Health, società britannica di Mutuo soccorso senza scopo di lucro, che ha chiesto a oltre mille tra datori di lavoro e dipendenti quali siano le scuse più assurde presentate da questi ultimi per non andare in ufficio, almeno sei dirigenti su dieci non credono alle parole dei dipendenti e cercano di coglierli in fallo consultando i loro profili sui social network mentre i tre quarti dei dipendenti intervistati ha ammesso che la maggior parte delle volte che ha chiesto giorni di malattia, in realtà poteva tranquillamente andare a lavorare.
C'è chi dichiara di essere rimasto un giorno intero con «il dito del piede intrappolato nel rubinetto», chi di aver «bruciato la mano nel tostapane», chi di non essersi presentato «perché il parrucchiere mi ha fatto una disastrosa tintura di capelli» oppure perché «il mio cane ha preso un grande spavento e non lo voglio lasciare solo».
Chi non conosce vergogna poi arriva addirittura a confessare di non essersi presentato «in quanto colpito accidentalmente da una lattina di fagioli, caduta all'improvviso dall'alto» o «perché la mia fidanzata mi ha morso in un punto delicato del corpo mentre facevamo sesso».
Aveva proprio ragione James Flynn, studioso dell’evoluzione del quoziente d’intelligenza, quando la scorsa estate, stando ai voti dei test che valutano il QI in costante ascesa in tutto il mondo (a passo di tre punti ogni decennio), aveva annunciato che gli esseri umani stanno diventando sempre più geniali!
D'altronde lo diceva anche il buon vecchio Einstein: «La differenza tra la genialità e la stupidità è che la genialità ha i suoi limiti».