Ed
il sottotitolo potrebbe essere una cosa del tipo «UN
UOMO, UN CANE, UN PERCHE': LE SOFFERENZE NOTTURNE DI MR. ROSE (che è
mio marito, come vi ho già scritto in un commento) E LADY HOPE (che
è il mio cane)»,
l'uno a sinistra e l'altra a destra nella foto (giusto a scanso di
equivoci).
Ma
andiamo con ordine.
Qualche
giorno fa, con la nostra amica FraAle si parlava qui sul blog delle
professioni dei rispettivi coniugi.
Ovviamente
ogni lavoro ha i suoi pro e i suoi contro.
E
nemmeno il mio ne è esente.
Io
sono una filologa e paleografa medievale cioè traduco codici antichi
dal latino all'italiano e scrivo testi per l'università
(incidentalmente – proprio per essere precisi – ne ho da poco
scritto uno sugli anni Ottanta, insieme al prode socio Canna, che non
c'azzecca nulla con quanto ho partorito finora ma rientra nel
discorso che sto per fare).
Ora
– senza contare il non trascurabile dettaglio che i committenti
pagano quando razzo
pare a loro impipandosene dei contratti – qual'è il principale
punto critico del mio lavoro? È l'ispirazione,
cari miei, che, si sa, non viene a comando.
Non
è infrequente quindi che mi capiti di passare amene ore sopra a due
stramaledette righe (già, perché nel mio lavoro non si tratta solo
di tradurre – che sarebbe troppo facile – ma soprattutto di
capire come caspita scrivevano, in quel periodo storico e in quella
zona, ogni singola lettera dell'alfabeto... mi sento una specie di
Jessica Fletcher delle pergamene, in pratica!) senza riuscire a
cavare un ragno dal buco ed andarmene a dormire sconsolata, mettendo
in forte dubbio le mie doti intellettive.
Mettete
l'altro ieri, ad esempio.
Tutto
il santo giorno a leggere di appestati, disgrazie, malattie e decessi
fino a quel paragrafo finale che proprio non ne voleva sapere di
tornare.
Inutile
dirvi che non si trattava di righe superflue e inutili: ovviamente il
senso di tutta la lagna precedente dipendeva da quell'incomprensibile
epilogo.
Ecco,
giusto perché voi siate solidali con me, vi offro un saggio di quello
di cui sto parlando:
Si
è fatta una certa, mi arrendo e vado a letto quando all'improvviso,
saranno state le tre del mattino, mi viene un'illuminazione.
E
allora che fai? Tutta euforica, accendi la luce, scendi dal letto
(cercando di non scomodare troppo il quadrupede che ti dorme sullo
stomaco), prendi il computer e inizi a smanettare gioiosa, sentendoti
di nuovo la Maga Maghella della paleografia mondiale (giusto per
essere modesti).
Il
tutto con, come sottofondo, un «'more la luce» ripetuto
ossessivamente come un mantra (ma destinato a restare inascoltato) o
in alternativa, quando l'umore dell'ex dormiente non è dei migliori,
un prolungato ed inequivocabile grugnito di disappunto.
Non
se ne esce: se soffri di incontinenza creativa notturna non c'è
cura! E a chi ti dorme a fianco non resta che rassegnarsi!
Per
voi, invece? Qual'è il lato peggiore del vostro lavoro, quello che
proprio tollerate a fatica?
Avrete pure un capo logorroico o
inopportuno, una collega arrivista e petulante pronta a farvi le
scarpe, una cliente lagnosa o bizzarra... suvvia, non fate i timidi:
buttate tutto nel cassonetto!