mercoledì 21 marzo 2018

MALEDETTA PRIMAVERA


ASPETTANDO IL POST DELLA MICHI Sin dalle elementari e fino all'ultimo anno del Classico mi hanno sempre appioppato come compagni di banco i casi più disperati della classe col compito improbo di riportare i testoni sulla retta via preparando insieme a loro interrogazioni, verifiche, temi, cazzi&mazzi, imposizione che ha fatto nascere in me un disperato culto del “chi fa per sé, fa per tre”. Contemporaneamente però, essendo cresciuta per desiderio paterno a pane e palla a spicchi, il basket mi ha fatto capire l'importanza del gioco di squadra, della cooperazione e dell'impegno collettivo per il raggiungimento di uno scopo comune. Non per niente il mio idolo, Michael Jordan, sosteneva che “Talent wins games, but teamwork wins championship”, cioè il talento fa vincere le partite, ma è il lavoro di gruppo che aiuta a vincere un campionato.
Le due esperienze antitetiche mi hanno fatto sviluppare un certo bipolarismo in materia ma in età adulta il problema non si è più posto: si sa, quello della filologa è un lavoro solitario e l'unico contatto obbligato col consesso umano è quello con i committenti rognosi!
Poi, qualche mese fa, sull'inserto domenicale del Corriere (La Lettura del 10 settembre 2017), a poche settimane dalla morte di Jerry Lewis, leggo un articolo sul declino dei binomi nel mondo dello spettacolo: nessun più Ginger e Fred, Al Bano e Romina, Terence Hill e Bud Spencer, Cochi e Renato, Boldi e De Sica... uh, che tragedia!
E sempre qualche mese fa incontro lei: certo a prima vista la mora montanara polemica e la bionda genovese diplomatica sembrano aver poco a che spartire ma una forte passione comune per la scrittura e alcune sfumature caratteriali simili sono stati il collante perfetto per il nostro sodalizio.
Farmi più in là per condividere ogni tanto questo spazio con lei mi è sembrata una proposta naturale, convinta che una più l'altra non sia un'addizione, ma una moltiplicazione. Di idee. Di entusiasmo. Di stimoli positivi.
D'altronde lo sosteneva anche Stefano Accorsi quando pubblicizzava un gelato che Du gust is megl che uan!
Quindi, ora, spazio al primo post della Michi!

Primavera, dobbiamo parlare.
Lo vedi in che situazione ci troviamo? Nevica, a fine marzo. Vabbè, mi dirai, tutti a dire che non ci sono più le mezze stagioni… A un certo punto che deve fare una povera mezza stagione se non sparire e dargliela vinta una volta per tutte?
Però insomma, anche tu, cerca di crescere, non puoi mica fare gne gne per ogni cosa. È da cinquecento anni a questa parte che ti sei un po' montata la testa. Che se non era per Botticelli davvero che facevi tanto la schizzinosa.



Pensa un po’ alle tue responsabilità! Pensa a chi, come me, ti sta aspettando da mesi. E sono stati mesi duri, questo lo sai. Mesi in cui mi sono addormentata con lo scaldasonno impostato alla massima temperatura e ho rischiato di trovarmi rosolata come un pollo arrosto. Mesi in cui ho indossato i Moon-boot in casa perché i miei piedi non ne volevano sapere di scaldarsi. Mesi in cui chiunque incontrassi ha creduto che dovessi rivedere la mia alimentazione perché ogni giorno di questo dannato inverno sono uscita di casa che sembravo la madre dell’omino Michelin, e va bene che è matelassè e fa tanto moda, ma in fatto di forma fisica ha ampi margini di miglioramento.
Ma io mi sono fidata, ti ho detto che ti avrei aspettato e l’ho fatto, ma di te ancora nessun segno. Neanche quella rondine solinga che intanto è inutile perché comunque lei da sola non conta un cazzo. Poraccia, anche lei.


Lo sai che giorno è oggi? Lo sai, sì o no? È il giorno in cui dovresti muovere quel culone fiorito e venire tra noi. Non fare come quei maschi cattivi che ti dicono ti chiamo domani e poi niente, non si fanno sentire. Non è da te, dai.
Primavera, io te lo dico, se continui così, finisce che do ragione alla Goggi.

Written by Michela Rebuffel

mercoledì 14 marzo 2018

STORIA DI UNA BANCHIERA MILIONARIA, INSONNE E FINANCO ROMPICOGLIONI


Sul Corriere di domenica 11 marzo ho letto la triste storia di Sarvenaz Fouladi e della di lei madre, Fereschant Salamat, non senza annaffiare il quotidiano con abbondanti lacrime.
La sventurata trentottenne è una facoltosa banchiera di origine iraniana nonché proprietaria di un appartamento da quasi tre milioni di euro in un condominio di mattoni rossi di inizi Novecento, nel quartiere di Kensington, zona ovest di Londra.

 
A render grama la vita di Sarvy e Feresh è stato il trasloco nel 2010 dei coniugi Ahmed e Sarah El Kerrami con le loro frizzanti creature, al piano superiore. Roba che al confronto le cavallette e le rane nelle dieci piaghe d'Egitto sarebbero state una passeggiata di salute. I tre pargoli sono infatti i responsabili dell'inferno in terra della povera manager che ha dichiarato provata: «Fino a sette anni fa avevo tutto: una buona carriera, una bella casa e una magnifica vita sociale. Oggi sono così stanca al mattino che non riesco ad alzarmi in orario e arrivo spesso tardi al lavoro. Per restare sveglia, devo mangiare cioccolata». E ancora: «Spegnete quei bambini, per favore! O abbassate il loro volume, almeno di notte!», ha implorato.
E come darle torto.
Infatti il giudice Nicholas Parfitt, chiamato a dirimere la bega condominiale, ha considerato legittime le sue lamentele e ha stabilito un risarcimento record: quaranta sterline al giorno, per un totale di 107 mila sterline. Cioè, circa 120MILAEURO!
Che poi, stellina lei, c'hai pure ragione: dormire a intermittenza è una menata. Non a caso la privazione del sonno è una delle torture preferite dai militari di qualunque dittatura: svegliare continuamente una persona proprio mentre si sta addormentando alla lunga fa uscire di testa, tipo che il mattino dopo ti tiri su con due occhi sbarrati alla Jack Nicholson in “Shining”.


Ciononostante: 120MILAEURO, Sarvy, son sempre 120MILAEURO... cioè, mica cotiche! Non si poteva fare una cifretta meno esosa, anche solo l'impegno da parte degli El Kerrami di insonorizzare l'appartamento, e poi tutti a farsi due spaghi da te?
Comunque a nulla sono valse le perizie e le obiezioni dell'avvocato della controparte: «I rumori di cui si lagnano le inquiline del piano di sotto non sono altro che il prodotto di una normale vita famigliare» ha sostenuto, per concludere con un ineccepibile «Se non mentalmente instabili, quelle due sono quantomeno ipersensibili».
E tutto sommato è stato ancora gentile.
Questa storia mi ha fatto ricordare un episodio privato.
Un mio – ahimè! – congiunto (questo sì equiparabile a una piaga d'Egitto) quando mancava poco al parto della mia primogenita, era solito osservare con disgusto la mia pancia muoversi senza esimersi dall'esclamare soavi frasi quali «Che schifo!» o «Mi viene da vomitare!». Oggi, che sta per diventare padre, rimane in trance per ore a contemplare la panza della coniuge nonostante là sotto il figlio si muova stile “Alien”, declamando stilnovistiche odi alla maternità che nemmeno Tagore.
Ora: come si conciliano i due racconti?
Così: quando uno spara qualche vaccata bella potente, che magari offende pure qualcuno a lui limitrofo, in genere deve prepararsi a vedersela tornare indietro, la suddetta vaccata, come un boomerang, a tutta velocità. E che il Signore gli scartavetri pure la faccia con quella paletta falciforme nella sua traiettoria di ritorno, di già che c'è.
Cara la mia Sarvenaz – che già una che si ritrova un nome così, un pochetto suscettibile e incazzata di suo è legittimo lo sia – a te lo posso dire: anche io un tempo soffrivo di questa sindrome di Erode, ergo ero una cagacazzo imperiale in merito ai bipedi sotto il metro di altezza.
Anche io ho passato un periodo in cui sentivo la nanerottola dei vicini urlare a qualunque ora del giorno e DELLA NOTTE e io «GneGneGne: non riesco a lavorare!» [leggasi: adesso cerco il primo rivenditore di pannelli insonorizzati e gli compro il magazzino intero].
Anche io ho passato un periodo in cui sentivo la madre della nanerottola urlare a qualunque ora del giorno e DELLA NOTTE «Vieni qui, a mamma» e io di rimando «GneGneGne: non riesco a dormire!» [leggasi: mi state frullando le palle come un Minipimer].
Anche io ho passato un periodo in cui sentivo i genitori della nanerottola rispolverare in loop “Dolce Remì” e “Il caffè della Peppina” a qualunque ora del giorno e DELLA NOTTE e io «GneGneGne: non riesco a grattarmi l'alluce del piede sinistro in santa pace!» [leggasi: le più variopinte imprecazioni avevano messo il pilota automatico].
Ma poi: il boomerang (e tu non sai quanto sia stata felice di quel boomerang, ma questo resti fra di noi)!
Quindi, se per caso ti transita nella testolina l'idea di lavorare meno, smetterla di vivere con mammà, trovare un uomo che ti sopporti, magari pure, to' la butto lì, riprodurti, sappi che minimo minimo ti aspettano una ventina di ore di sonno spalmate su quarantadue (perché tu adesso ti sparerai almeno sei ore di dormita serafica a notte, no? Ecco, sappi che poi diventeranno tre, se tutto va bene), il colorito di un topo morto, l'occhio a saracinesca, tette che scendono verso il basso e capelli verso l'alto e occhiaie scavate con la ruspa, tiè! E mi auguro soprattutto che una pletora di vicini di casa tre volte più scassacazzi di te, nelle ore diurne, quando il pargolo ti lascerà un attimo di requie da peti e rigurgiti, facciano le prove (quelli alla tua destra) per lo Zecchino d'Oro stile Piccolo Coro dell'Antoniano (avrete una roba simile anche lì da voi, no?), decidano di cambiare la pavimentazione (quelli sopra di te) e trascorrano le ore postprandiali a perforare quella vecchia col martello pneumatico, ascoltino “Smell Like Teen Spirits” (quelli alla tua sinistra) a manetta e senza pausa, e per finire litighino (quelli di sotto) come nemmeno Michael Douglas e Kathleen Turner ne “La guerra dei Roses”, ri-tiè!
So: be carefull, dear Sarvenaz, perché the boomerang is behind the angolo!

martedì 6 marzo 2018

GOD SAVE THE REHEATED SOUP OVVERO VIVA LA MINESTRA RISCALDATA


Proprio non riesco a capire il perché di tanto accanimento linguistico contro la minestra.
Da “è sempre la solita minestra” a “far su un gran minestrone” passando per “o mangi la minestra o salti la finestra” fino a quel “è solo una minestra riscaldata” sono modi di dire italiani usati per indicare una situazione deludente, confusa, fallimentare, senza alternative.
Tutte frasi idiomatiche con connotazione negativa.
Ma a me la minestra riscaldata piace, sia quella reale che quella figurata.
Non parlo di ex che ritornano, ma della resurrezione di un'amicizia.
Perché alle volte siamo poco indulgenti nei confronti degli altri e troppo permissivi con noi stessi, tendiamo a passare sotto una lente di ingrandimento vere o presunte mancanze o sgarri subiti e a cercare mille inconsistenti giustificazioni a quelli che più o meno volontariamente commettiamo noi.
Perché un po' per orgoglio, un po' perché aspettiamo uno «Scusa, ho sbagliato» ma non riusciamo a dirlo noi per primi, un po' perché in certi momenti della vita è più facile andarsene che restare, lasciamo che ci pensi il tempo perché ci hanno insegnato che tanto quello aggiusta tutto, lo diceva anche Baglioni.
Ma l'unico risultato che otteniamo è che clof, passa un giorno, clop, ne passa un altro, cloch, un altro ancora (basta, mi fermo qui altrimenti vi faccio tutta La fontana malata diPalazzeschi) e le gocce di silenzi alla lunga riempiono il cuore di calcare.
E allora quando oggi ho saputo che lei sta vivendo un momento poco felice, non c'ho pensato su nemmeno un secondo. Ho preso il telefono e l'ho chiamata. In quel «Ciao, sono io» c'era stipato dentro tutto un anno di parole non dette, di “Ti ho pensata spesso ma non ho mai avuto il coraggio di farlo prima”, di “Siamo state due teste di cazzo”, di “Dove eravamo rimaste?”.
Quel suo «Mi sei mancata» ha sciolto tutta la ruggine del risentimento.
Perché quando c'è un sentimento forte, in un'amicizia o in una storia d'amore, non servono grandi discorsi.
Perché quando c'è un sentimento forte, in un'amicizia o in una storia d'amore, il rancore è un abito che cade male addosso.
Perché quando c'è un sentimento forte, in un'amicizia o in una storia d'amore, è sciocco non concedersi una seconda possibilità per questioni di principio.



E se la minestra riscaldata è un'occasione preziosa, che concediamo a noi stessi prima che all'altro per dimostrare a entrambi di aver imparato dagli errori commessi, io ho già il cucchiaio in mano.
Perché le voglio bene e il mio cuore lo voglio senza spuntoni di roccia.