lunedì 27 agosto 2012

BISOGNA SAPER PERDERE


Dopo settimane di silenzio, voi vi aspettate che io torni all'ovile sfornando un aneddoto vacanziero.
Infatti.
D'altronde è un classico: vi sarà capitato il collega logorroico che vi strema con le foto della sua coast to coast negli States, la cugina / la zia / la cognata che vi asfaltano con dettagli imperdibili su quanto era buona la 'mpepatella di cozze mangiata nel ristorante tal dei tali a Posillipo, la parrucchiera che vi illustra con dovizia di particolari le discoteche della riviera romagnola da lei diligentemente battezzate. Tutte informazioni senza le quali, francamente, la vostra vita non è più la stessa.
E voi lì a studiare qualche scusa plausibile per sottrarvi all'irrefrenabile eruzione aneddotica del vostro interlocutore.
Ma il mio, di aneddoto, non rientra nelle suddette categorie e non è nemmeno di quelli tipo: ho sentito il mio vicino d'ombrellone sussurrare le peggio cose al telefono con l'amante (per quanto, giusto per restare in tema, sappiate che ho letto i vostri appelli onde fare nel cassonetto anche una succursale hot e vi dico che... ebbene sì, avete vinto. Complici le quantecavolosono sfumature di nero/grigio/rosso, vi è venuta a tutti una gran voglia di parlare di sesso e dintorni e vi pare che la vostra Betta lanci il sasso e nasconda la mano? Provvederò, promesso!).
Ferragosto. Dopo una giornata passata al sole, tra gavettoni, tuffi, parole crociate, gelati e grigliata, qualcuno se ne esce con una proposta irrinunciabile: «Partitona a Monopoly?».
Certo che sì.

L'immarcescibile Monopoly
Premetto: sin da piccola ho sempre avuto un debole per i giochi di società. Ascoltavo con attenzione le regole, sceglievo la mia pedina con cura, mi esibivo in due o tre riti scaramantici sentendomi poi talmente carica da arrivare addirittura a proporre agli altri concorrenti di giocare a soldi.
Ho sempre avuto solo un grande difetto: non ho mai saputo accettare le sconfitte e quindi, quando capivo che tirava una brutta aria, elaboravo un piano B di salvataggio del mio onore.
In altre parole: baravo.
Era più forte di me. Che si trattasse di rubamazzetto o di una partita a biglie sulla spiaggia, del Gioco dell'Oca, di Indovina Chi? o di Hotel, non potevo tollerare di non accaparrarmi il montepremi (ben poca cosa, va detto...) o anche solo il vanto di essere la vincitrice e quindi in genere ricorrevo a uno dei seguenti tre stratagemmi:
1.) Fingevo un malore (nulla di grave... un attacco di dissenteria in genere era l'opzione più gettonata) che costringeva gli altri partecipanti al gioco (di solito papà Walter e mother Angel) a rinviare la partita a data da destinarsi (in genere trenta minuti erano sufficienti per vedermi ricomparire in splendida forma).
2.) «Etchiù!»... simulavo un starnutone così potente da riuscire a confondere le pedine dei miei avversari (confidando nel fatto che non avessero una memoria così buona da ricordare dove fossero collocate).
3.) Approfittavo di una distrazione del mio avversario per spostargli la pedina, sotterrargli le biglie o curiosare quale carta del mazzo sarebbe toccata dopo.
«Bambino? Guarda l'obiettivo che nel frattempo io ti nascondo la biglia, dai!»
Se questo accadeva quando avevo otto anni... figurarsi adesso, che con gli anni mi son fatta più scaltra!
Il problema però è che pure i miei avversari, agguerriti quasi quanto me, non scherzano. Giocano pulito, ok, ma non sono più accondiscendenti come lo erano babbo e mamma, pronti a chiudere un occhio (anzi, entrambi) e a lasciarmi vincere. Oggigiorno, porco Giuda!, ogni mio tentativo di baro viene puntualmente stanato.
Tipo la partita a Monopoly ferragostana (dalla quale ho appreso un assioma da tenere bene a mente: mai farne una col Rose!)... Pronti via, gli altri due si erano già accaparrati (forse grazie agli studi bocconiani) Parco della Vittoria – Viale dei Giardini e Largo Augusto – Corso Impero – Via Roma mentre io non ero riuscita ad andare più in là di una misera casetta su Vicolo Corto e al terzo giro ero già piena di ipoteche, senza soldi e con un broncio che non prometteva nulla di buono!
E voi? Siete tutti fedeli adepti del barone de Coubertin e sapete incassare elegantemente le sconfitte o, in tali circostanze, vi scappa la frizione (come alla Betta) e date il peggio di voi?

PiEsse = Affinché voi non pensiate di stare a leggere un post scritto da una seria filologa con l'animo da imbrogliona, manco fossi una sorta di Richard Marcus in gonnella, sappiate che i miei trucchetti per infinocchiare gli avversari sono sempre stati bizzarri e ingegnosi ma alquanto goffi, tanto da venire puntualmente smascherati senza troppo impegno, suscitando una risata generale!
Mica ora starete pensando di leggere un post scritto da un baro donna maldestro, scaltro quanto Stanlio e Ollio messi insieme?
Mi sa che sono passata dalla padella alla brace e dalla brace all'altoforno!

mercoledì 1 agosto 2012

LA VALIGIA SUL LETTO E' QUELLA D'UN LUNGO VIAGGIO

... cantava il buon Julio!
Ma in realtà, che il viaggio sia lungo o breve, che si tratti di una delle peregrinazioni lavorative transoceaniche del Rose o di una piacevole gitarella di coppia, poco importa: la preparazione della valigia per me rappresenta da sempre un supplizio!
Tutta colpa di uno choc infantile? Può essere... Quando a luglio si partiva per il mare, Mother Angel (se il Rosa è diventato Rose, vorrete mica che non anglicizzare anche la mummy?), infatti, da donna super precisa quale è, riusciva ad allestire delle valigie che sembravano delle opere d'arte, garantendo, grazie a studiati giochi d'incastri, non solo di farci stare dentro la roba di tutta la truppa ma soprattutto l'assoluta integrità di ciascun pezzo: in pratica, la sua maestria nel disporre biancheria, vestiario, libri, trucchi, medicine, giochi e quant'altro era tale che di certo nemmeno una camicia di lino veniva estratta spiegazzata.
Vette inarrivabili per me, lo ammetto!
Nel tentativo di emulare cotanto esempio, ho dato il meglio di me sin dai primi viaggi di piacere con la mia dolce metà.
Io ho due tipi di valigie: quelle tristi, cioè quando a partire è solo uno della coppia (e nove su dieci quell'uno non sono io) e quelle felici. Esautorata da tale incombenza nel caso delle prime («Perché?», vi chiederete voi... beh, andate al PiEsse Uno, se siete così curiosi!), mi sono concentrata solo sulle seconde.

L'ODIOSAMATA VALIGIA BLU
E questo aneddoto illustra, meglio di tanti giri di parole, quali siano stati i risultati.
Dicembre 2001, primo week end fuori porta insieme.
Meta: Toscana (mica uno sperduto paesino sulle montagne del Sichuan, ma nonostante questo: macchina stracolma di valigie, zeppe di ogni ben di Dio per qualunque evenienza, epidemie, inondazioni, carestie e invasioni di cavallette comprese).
La nostra camera si trovava nella zona più deserta della struttura e l'albergo era, ovviamente, privo di ascensore Ma la prospettiva di doversi trasportare tutto il ponderoso armamentario stile camallo su per cinque piani di ripide scale non ha spaventato di certo il ginnico Rose.
Se non che arriviamo all'ultima valigia, quella rigida blu con i vestiti.
Certa di non aver ereditato l'abilità materna nel riuscire a non sgualcirli, intimo: «Per carità, portala su orizzontalmente se no si spiegazza tutto!».
Fedele al diktat della fidanzata, il prode eroe, quasi giunto alla meta, proprio sul finire del martirio, calcola male il numero degli scalini restanti e inciampa.
Voi vi aspettereste che avesse mollato la valigia all'aria e fosse finito spiaccicato a quattro di bastoni sul pavimento, come la scena di un cartone.
E invece l'epilogo è stato, se possibile, ancor più comico... ovviamente solo per gli astanti!
Pur di non deludere le disposizioni ricevute (stavamo insieme solo da pochi mesi, va precisato!), il caparbio Rose decide di mantenere in piano la valigia col suo prezioso (!) contenuto e, immolandosi stoicamente per la causa, atterra sulle ginocchia, con un tonfo tale da richiamare pure il proprietario che mezzo addormentato se ne stava in reception (esattamente cinque piani sotto rispetto a dove ci trovavamo noi).
Da allora le mie valigie si sono fatte più spartane e il loro trasporto non è più sottoposto a vincoli geometrici (le valigie sono dotate di ruote? Usiamole! E chissenefrega se la roba all'interno si rovina un po'!) ma ogni volta che carichiamo in macchina la valigia blu, è automatico riandare col pensiero a quell'inverno di undici anni fa e soprattutto alla reazione della Betta che voi forse crederete si sia precipitata in soccorso del suo uomo... NOOO! Mentre lui cercava di tranquillizzarla, lei, per nulla allarmata circa le condizioni del suo menisco, se ne stava in un angolo, con le lacrime agli occhi, quasi svenuta dal ridere (cosa che ha fatto per circa mezz'ora, anche davanti all'espressione incredula del Sopravvissuto)!
La riconoscenza è morta, gente!

Il travagliato percorso per arrivare in camera 
PiEsse Uno = Già... perché mai mi è stato (già al terzo mese di convivenza) categoricamente proibito di collaborare alla preparazione della valigia quando il Rose parte per i suoi viaggi di lavoro? Presto detto. Immaginatevi la scena: valigia per terra, pila dei boxer e delle calze da un lato, camicie, cravatte, giacche e pantaloni sparsi sul letto.
La Betta, al cui confronto Mario Merola nelle sceneggiate sarebbe risultato un dilettante, con aria distrutta fa il suo ingresso nella camera, Kleenex alla mano. Prende un boxer, lo posa con fare disperato in un cantuccio della valigia, guarda il povero Rose sfoggiando la più straziante delle sue espressioni (roba che nemmeno un cane della LAV riuscirebbe a intenerirvi tanto) e gli chiede con la voce rotta dal pianto: «Oh... parti! Hai presente dieci giorni senza di te?».
Altro paio di boxer, sospirone, uno sguardo alla roba sul letto, uno sguardo alla valigia (ancora semivuota dopo mezz'ora), uno sguardo al Rose questa volta sfoggiando un paio di occhi a forma di cuore: «E se capita qualcosa di brutto mentre tu non ci sei?», cui segue una lagnosa cantilena contenente un nutrito elenco di enne possibili disgrazie, capace di sfiancare anche il tetragono e serafico coniuge (il quale forse nel frattempo inizia a considerare che tutto sommato le 12 ore di volo e successivo tour de force lavorativo in terra straniera che sta per sciropparsi sono una punizione meno crudele della pièce tragica in corso).
Un bel giorno, giunti al terzo paio di boxer, tenuto conto di tutto quello che ancora va inserito e calcolando il tempo sino a quel momento impiegato per metterci dentro due-boxer-due, il paziente Rose ha pensato bene, giusto per non giocarsi la suite in Paradiso che si è meritatamente guadagnato in questi dodici anni, di stoppare il copione e giocare in contropiede.
Da allora la valigia viene preparata nottetempo o sfruttando una mia temporanea assenza.
Come dargli torto, d'altronde?
Quanto a me... devo riconoscere che ad un festival d'arte drammatica, farei la mia porca figura!

PiEsse Due = Si è mai sentito di un cassonetto chiuso per ferie? Certo che no! E quindi, penserete mica che proprio il mio vada in vacanza? Ligia al dovere come una farmacia di turno, resto in attesa in queste afose giornate agostane, dei vostri commenti, sia che siate comodamente svaccati sotto un'ombrellone in riva al mare, sia che vi stiate trascinando al lavoro per le strade semideserte della vostra città!
Se non è devozione questa, cari i miei Cassonetto's boys & girls!