giovedì 20 dicembre 2012

PANETTONE IS ON THE TABLE AND EVERYBODY IS DRINKING MOSCHETO

In queste settimane zappingando, telecomando alla mano, da un canale all'altro oppure sfogliando qualche tipico settimanale femminile o curiosando nella rete non si fa altro che leggere dritte su come fare in casa ghirlande e addobbi, su quali siano i regali più intelligenti ed azzeccati, su cosa cucinare a Natale, su come apparecchiare la tavola per il 25 dicembre et similia, tutte dissertazione che mi sfiniscono di noia.
Dotata di una manualità imbarazzante, di cimentarmi a creare decorazioni, segnaposti e centrotavola personalizzati non ci penso nemmeno essendo io, in questo genere di attività, notoriamente una zappa, direi che, dopo essermi assicurata, per quanto riguarda il menù, la preparazione dei miei due pezzi forte (l'arrosto e la crema per il panettone, vantando il possesso di due ricette segretissime e che riscuotono sempre un immarcescibile successo... roba che in queste due specialità nemmeno la Benedetta nazionale riuscirebbe a eguagliarmi), delegata l'operazione “imbandimento tavola” all'estro fantasioso di mother Angel (che ha un'abilità innata a trasformare uno spartano desco in un elegante ensemble di porcellane, fiori, candele e nastrini di raso), posso dedicarmi a ciò che amo di più: concentrarmi sui regali, studiati uno ad uno in base ai vari destinatari, per un effetto sorpresa assicurato.
Ergo: detesto quelli che il 24 dicembre al pomeriggio si fiondano nel primo negozio che incontrano e si fanno incartare un cadeau “ad minchiam” (per usare un termine, coniato da Tetosocio, particolarmente calzante), convinti pure di fare bella figura.
Un regalo deve avere una storia, parlare di te, saper donare un'emozione (e per riuscirci, non serve sputtanarsi la tredicesima!), mica deve esaurirsi tutto in un compulsivo spacchettamento e conseguente «Oh, che bello!», un po' farlocco e di circostanza.
Per questo da buona Poirot in gonnella, parto per tempo e già ad ottobre inizio a investigare sui desiderata delle persone a me più care. Certo, purtroppo anche nella mia lista ce ne sono alcune alle quali preferirei regalare un'opera di Pietro Manzoni (avete presente quelle scatolette di latta contenenti feci e passate alla storia come “Artist's shit”?) piuttosto che sbattermi a cercare il classico pensierino di circostanza, ma per fortuna negli anni sono sensibilmente diminuite.
Che poi, da vera leopardiana inside, sono convinta che il bello stia proprio nella magica attesa del giorno di festa più che nella domenica in sé, per dirla con la metafora del Sabato del villaggio.
Ed ora, immaginate di avere un'adeguata colonna sonora in sottofondo (tipo la canzone degli Elio e le Storie Tese di cui al titolo), annusate nell'aria l'inconfondibile profumo di panettone e vin brulè, figuratevi la Betta e Teto in abiti natalizi e allora li sentirete anche urlare a squarciagola:
AUGURI, CASSONETTARI!!!

E' Natale, Gesù è nato, tanti auguri dalla Betta, dal suo cagnone e...

da Tetosocio debitamente agghindato! (AVETE RICONOSCIUTO LA CANZONCINA DI FANTOZZI, VERO?)



E poteva mancare un'arguta riflessione sul Natale
da parte del mio insostituibile socio Teto?
Ci voleva la sua ben nota maestria esplicativa
per sensibilizzarci su un problema sociale
troppo spesso trascurato...


Anzitutto va detto che non se ne può più di quelle sagome rosse e bianche appese ai balconi in ogni dove. Ho seriamente pensato di affiliarmi al C.L.N.(G), Comitato di Liberazione Nani da Giardino, meritoria associazione che si preoccupa di prelevare le statuette di nani da giardino presso le abitazioni private, per dare loro una più naturale e libera collocazione nei boschi. Volevo proporre loro una associazione gemella che si occupasse di tirare di fionda a 'sti orribili e goffi pupazzi penzolanti che ammorbano il tempo natalizio.
Oltre a questo, non ho in simpatia il borioso panzone biancobarbuto per altri motivi.
Pe prima cosa la versione odierna è frutto di una campagna pubblicitaria creata da una nota multinazionale negli anni '50, cosa che lo rende ancor oggi ostacolo di ogni abbruttimento da parte di pubblicitari monomaniaci, che lo vestono, lo declinano e ce lo propinano in ogni salsa (compresa, ovvio, quella della babanatala sexy in guepiere rosso fuoco).
L'altro elemento è che la versione taroccata di San Nicola crea un sacco di problemi con i figli. Bisogna dire loro che esiste o che non esiste? E quando, a che età, si può dire che non esiste? E come fare a spiegare al proprio figlio che non ci sono soldi per comprare il superlegotechnoultramega da 200 euro a scatola, mentre il piccolo, con l'aria più innocente del mondo ti dice «tanto me lo porta Babbo Natale». Tu ti senti un poveraccio, vai a impegnarti al monte di pietà l'oro di famiglia per pagare l'agognato regalo e la bella figura la fa il lappone che vola sui tetti con le renne.
Bell'affare.
Questo mito ridicolo, di un vecchio ciccione che porta, contemporaneamente, in tutto il mondo, a tutti i bambini i regali, comporta una ulteriore conseguenza: obbliga papà-nonni-zii a travestirsi, mimetizzando la voce, per consegnare i regali ai figli.
I figli non sono scemi, ti beccano e ti costringono ad arzigogolatissime spiegazioni per motivare la sostituzione.
Per questo, per protesta, compongo con grande amore il Presepe. E adoro Gesù Bambino.


martedì 11 dicembre 2012

ESCI DA QUESTO CORPO

Per dodici anni è sempre stato così: ogni lunedì alle otto ci si trascinava (se stessi con borsoni e valigia, zeppi di libri, vestiti, viveri e cianfrusaglie, al seguito) fino alla stazione di Biella San Paolo e quasi tutti i venerdì vi si faceva ritorno (sempre che si riuscisse a prendere al volo, in perfetto stile Fantozzi – avete presente la scena dell'autobus, vero? – il treno delle 18.20... all'epoca ancora non mi era chiaro l'esatto significato di “partenza intelligente”).
Dodici anni, per un totale malcontato (in difetto) di mille viaggi, non son pochi.
Questo per dire che vanto una certa esperienza in materia.
E, statistiche alla mano, va detto che 9 volte su 10 mi è capitato di, stritolata nel microspazio di un sedile sporco e sgangherato, passare un paio d'ore con un vicino sgradito.
Sgradito” perché...
OPZIONE 1: puzza;
OPZIONE 2: russa;
OPZIONE 3: non fa che ruminare cicles accompagnando la fastidiosa masticazione col piacevole vezzo di far scoppiare la gomma una media di 15 volte al minuto;
OPZIONE 4: è un chiacchierone, disponibile nella VARIANTE A - ti sfianca attaccandoti un bottone infinito ed incollandosi a te come una lampreda di mare (ed in genere si tratta di un tipo insignificante che pesa 110 chili ed è alto come un nano da giardino) – o nella VARIANTE B – è un figo da paura ma se la tira, non ti rivolge la parola nemmeno per salutarti e passa il tempo con la bocca incollata al cellulare (cosa che ti impedisce di leggere e ti obbliga a farti i cazzi suoi).
Non va dimenticata poi l'OPZIONE 5, indipendente dalla presenza di un vicino più o meno ingombrante: avaria del mezzo di trasporto (eventualità tutt'altro che improbabile quando posi le tue chiappe su una littorina dei tempi del Duce che, per citare qualche ricorrente esempio, decide di abbandonarti lasciandoti per ore fra le risaie sotto la pioggia oppure ti costringe a viaggiare a meno dieci a dicembre causa improvvisa rottura dell'impianto di riscaldamento).
Insomma, di avventure “trenaiole” ne ho accumulate parecchie.
Per questo motivo ho letto con sommo interesse i trucchi recentemente suggeriti dal fotogiornalista Dave Seminara per assicurarsi un posto vuoto al proprio fianco:
CONSIGLIO 1 – sparpagliare le proprie cose (libri, borsa, giornali...) ovunque, fingendo che il sedile accanto al proprio sia occupato.
CONSIGLIO 2 – simulare di essere indaffarati (tuffandosi nel portatile o fingendo un'accesa conversazione telefonica) per scoraggiare ogni avvicinamento.
CONSIGLIO 3 – non guardare mai negli occhi il potenziale vicino, anche e soprattutto se il malcapitato ti rivolge la parola per chiedere se il posto è libero.
CONSIGLIO 4 – fare agli altri quello che non si vorrebbe venisse fatto a noi. E a questo proposito Dave suggerisce tre alternative: fingere di soffrire il treno / l'aereo / la nave / il bus (posizionando in bella mostra sul grembo un sacchettino per il vomito); simulare di essere un fanatico di musica inascoltabile (indossando un paio di cuffie extralarge e ascoltando a tutto volume che so... “Su di noi” di Pupo, magari canticchiando pure il brano sottovoce) e infine puntare sull'odore mettendosi in borsa un etto di taleggio invecchiato.
Io invece, dopo anni ed anni di allenamento, avevo sviluppato un mio personalissimo sistema: fissavo l'intrepido vicino con una faccia assassina tipo “Scream” fingendo di essere radioattiva.
Il successo di questa tecnica – denominata “Esci da questo corpo” - era garantito ma prima di applicarla vi consiglio di assicurarvi di non conoscere nessuno di quelli seduti nel vagone altrimenti è assicurato anche lo sputtanamento!

LA TECNICA - BETTA... PER UN SUCCESSO GARANTITO!

E voi? Avete avuto qualche epica disavventura durante un vostro spostamento? Cosa proprio non riuscite a sopportare di un vostro potenziale vicino di sedile?
Forza, condividete... mica vorrete farmi sentire la Annie Wilkes della situazione?