giovedì 31 gennaio 2013

“NON CREDO!” OVVERO: ODE ALLA STRONZA

Driin, driiiin...
«Dottoressa De Biasio, buongiorno... ehm, come andiamo con il libro?», esordisce timidamente il Signor XY, che nella vita fa il sindaco di una città del nord Italia, imbrocca una consecutio temporum su quindici e per darsi un tono promuove a tutto andare libri sul territorio che amministra (grande cosa, per carità, dato che la fortunata prescelta per occuparsi di crearli e partorirli sarei io se non fosse però che A.) in un anno e mezzo ha deciso di raddoppiare le pagine almeno cinque volte, senza aumentare proporzionalmente anche il mio compenso; B.) non ha ancora capito che nel 1200 si parlava in latino e bollarlo come “la lingua dei balenghi” solo perché lui non la conosce è una definizione un po' azzardata soprattutto se lo fa tutte le volte che conversa con ME, che sarei una filologa medievale latina, ergo una filologa dei balenghi; C.) il libro gli va anche riassunto dettagliatamente affinché non rilasci dichiarazioni alla stampa inascoltabili).
«Benissimo! Sto rileggendo gli ultimi capitoli e domani consegno in tipografia»
(qui c'è puzza di bruciato, Betta, chiudi la telefonata il più in fretta possibile! Dice una vocina saggia dentro di me)
«Ah, gnacfrcdrwsd» seguono vocali e consonanti random, dalle quali è impossibili dedurre l'esatta traduzione del pensiero sotteso.
«Prego?»
«È che... gnhem... sa quello stagista che avevo preso a rispondere al telefono qui in Comune? Quello che era uscito dai Geometri e non sapeva se iscriversi a Scienze Politiche o al DAMS ma poi aveva deciso di andare a Roma per tentare i casting dalla De Filippi?»
«Purtroppo sì, mi ricordo» (con quelle credenziali era difficile dimenticarsene)
«Ecco, mi aveva detto che avrebbe scritto lui la mia prefazione ma... cdfsvkdflhgbry... non so come dire...»
«Non l'ha fatto, giusto?»
«Ecco, sì»
(Strano!)
«Quindi?»
«Quindi... lo potrebbe fare Lei? Sa, così mi fa fare bella figura. E poi se potesse anche rivedere le immagini da inserire che, gahsp!, mi sembrava di aver salvato sulla chiavetta ma niente, non le trovo più... E anche...»
Segue elenco di altre cinque o sei rogne che – gndxkjbvsdyufv, come direbbe il mio interlocutore – si doveva grattare lui ma mi sono ritrovata sul groppone io.
«D'altronde, Lei è così brava!»
(E Lei così paraculo!)
«Per domani pomeriggio, ovviamente», precisa lui
(Digli di no, digli di no, digli di no...)
«Ma che scherza, domani pomeriggio dice? Lo consideri fatto già in mattinata».
Riattacco.
Gelo.
Panico.
Argh! Non ci posso credere: ci sono ricascata (oltre ad aver in parte mutuato le sue interiezioni).
E così addio serata pizza + dvd + varie ed eventuali col Rose.

QUANDO UNA TSHIRT DICE PIU' DI 1000 PAROLE!

Improvvisamente mi tornano alla mente le parole della mia amica Margie. Sarà stato lo scorso agosto e lei era alle prese con il libro must dell'estate: «Getting in Touch with Your Inner Bitch» della giornalista americana Elizabeth Hilts (in italiano: «Fai uscire la stronza che c'è in te»).
A sentirne distrattamente la recensione, uno di quei libri per i quali io non spendere mai 17 euro per comprarlo e 3 ore di tempo per leggerlo.
Ma Margie insisteva.
Diceva che non si trattava del solito libro che ripropone la teoria secondo cui solo le cattive ragazze nella vita ottengono qualcosa mentre le altre rimangono al palo. La “toxic niceness”, ossia la bontà un po' fine a se stessa e decisamente castrante, va combattuta, mi ripeteva con aria pugnace.
Vogliamo dire “no” ma ci sentiamo esalare un timido e poco convinto “sì”?
Ci scusiamo senza colpa?
Non ci sentiamo all'altezza?
Allora siamo affette da “carinite ossessivo – compulsiva” che ci riempie la testa di “dovresti”, ai quali bisogna imparare a rispondere con un “non credo”. Questo è il metodo della Hilts per liberare la stronza che teniamo imbavagliata dentro di noi.
Come Karen, in quella scena della sit-com “Will e Grace”: «Quando l'organizzatore della cena di beneficenza ti chiede, la sera prima dell'evento, se puoi preparare quei tuoi meravigliosi dolcetti, tu dirai: NON CREDO, MA SARO' FELICE DI INSEGNARLE COME SI FANNO, LA PROSSIMA VOLTA!».
Io, disinteressata alla cosa e fermamente convinta che una persona non possa imparare da un libro a modificare la sua natura, avevo cambiato discorso.
La scorsa estate.
Ora invece non mi resta altro da fare che, nell'ordine: chiamare Margie per farmi dare alcune dritte, ritelefonare a “Mister Interiezione Balenga” e ridiscutere le tempistiche, prenotare la pizzeria per stasera e andare ad affittare un dvd.
Voi che ne dite?
Mi capite, vero?
D'altronde la compagnia è grande.... basta rileggere i commenti che molti di voi hanno lasciato al post sui buoni propositi per l'anno nuovo esprimendo il desiderio di cercare di pensare più egoisticamente a se stessi e lasciarsi meno far su come delle magnolie dalle richieste degli altri.
Che facciamo? Ci troviamo tutte in libreria? Io sono quella col volume della Hilts in mano!

giovedì 24 gennaio 2013

DE POLITA ARTE EXSECRANDI OVVERO SULLA RAFFINATA ARTE DI RICOPRIRE, QUALCUNO O QUALCOSA, DI IMPROPERI (seconda parte)


Ed ecco cosa potrebbe rispondere
un esponente sui generis (forse)
dell'universo femminile
(quando smette i panni della lady)
alla dissertazione glottologica di Tetosocio...

Il mio professore di greco al Liceo era solito menarcela assai con la funzione apotropaica di non mi ricordo più cosa che ai tempi di Archiloco o di Mimnermo o di qualche altro poeta dal nome impronunciabile andava per la maggiore. In altre parole voleva spiegarci che all'epoca esisteva un gran numero di oggetti, animali e formule che si rivelavano dei potenti antisfighe ma volete mettere quale abisso separa dire «questo serve ad annullare un'influenza maligna» o uscirsene con un «questo ha una funzione apotropaica»?
Ecco, a me questo aggettivo è sempre rimasto impresso, ha un bel suono ruvido che ti dà soddisfazione a pronunciarlo, fa acculturato e non impegna ma soprattutto spiazza l'interlocutore che, nove su dieci, ne disconosce il significato.
Due settimane fa abbiamo parlato dei buoni propositi d'inizio anno mentre lo scorso giovedì il mio fido socio Teto si è ampiamente soffermato a dissertare sull'argomento “parolacce”.
I tre punti di cui sopra nel presente post sono strettamente collegati: nei miei buoni propositi non rientrerà mai l'abolizione di coloriti improperi in quanto hanno una potente funzione apotropaica.
In determinate circostanze, ovvio.
Una su tutte: la Betta alle prese con gli altri utenti del suolo stradale.
Ora, se già a tre anni riuscivo ad arrecare, alle pareti e al mobilio di casa, danni non indifferenti quando posavo le mie sante chiappine su quella a pedali, cosa avrò mai potuto sviluppare una volta che ho avuto a disposizione una macchina vera e propria?

ALL'INIZIO FU LEI... LA BRUM-BRUM GIALLA (e notate il sobrio clacson!)

Il mio primo mezzo meccanico è stato una Uno Fire celeste evidenziatore, super ammaccata e col motore sapientemente taroccato dal nonno carrista, celebre per le sue “manovre a orecchio” (usanza che spiega anche gli innumerevoli bolli): perché mai sbattersi a guardare lo specchietto retrovisore o quelli laterali quando si può fare tanta fatica in meno limitandosi ad attendere un incontrovertibile “pum” che segnali l'eccessiva vicinanza di un'altra vettura? Questa, in estrema sintesi, la sua filosofia.
Per dirla proprio tutta, il nonno Valentino era l'unico che si fidasse a salire in macchina o, peggio ancora, a lasciare la sua quattroruote a una imbranata neopatentata alle prime armi e quindi, un po' per riconoscenza, un po' per affetto, la nipote si è sentita in dovere di ascoltare le sue personalissime lezioni di scuola guida (che con quelle ufficiali avevano ben pochi punti in comune).
Da lì a mutuare il suo stile, il passo è stato brevissimo.
In pratica, l'inizio della fine.
A grandi linee, due erano le situazioni in grado di portarci ad un parossismo di rabbia tale da farci esplodere in poco raffinati improperi ai danni di altri automobilisti.
Caso A: i rincoglioniti che viaggiano centro strada ai 30 all'ora.
Impossibile superarli a sinistra senza rischiare un frontale con un'auto che transita in senso contrario, impossibile tentare di farlo a destra senza incorrere nel ritiro della patente a vita e soprattutto guai a sollecitarli con un energico colpo di clacson: sono capaci di rallentare ulteriormente posizionandosi proprio a cavalcioni sulla mezzeria.
Avete presente una gigantesca caramella gommosa, tipo mou, che per quanti sforzi facciate, compresi anche quelli estremi di ficcarvi un dito in bocca, vi resta comunque appiccicata a un dente per minuti che vi sembrano ore? La medesima sensazione!
Inutile aggiungere, così... a mo' di postilla, che quando sono in ritardo ad un appuntamento (cosa che capita con una imbarazzante frequenza), tutti i più rincoglioniti del globo terracqueo li incontro io. E questo spiega perché io trovi sempre qualcuno ad attendermi con fare tutt'altro che benedicente.
Passiamo al caso B: l'automobilista “no limits”, il guru della guida senza regole, prepotente e per giunta misogino. Insomma, uno che si sente in diritto di commettere tutte le infrazioni del codice della strada solo perché è al volante di un macchinone (che poi se l'è comprato “-one” solo perché di “-one” non ha di suo altri attributi). E se dovessimo andare a veder bene, detto fra di noi, manco sa guidarli quei 70 mila euro di macchina.
Sfanala per incitarti a passare col rosso, si fa venire una crisi isterica se deve attendere mezzo minuto affinché uno completi un parcheggio ad esse, prende le curve larghe e se qualcuno gli fa presente che non si trova a Londra si impermalosisce, non conosce un'andatura inferiore ai 60 Km (mi limito a descrivere le sue performance su strade urbane, per i numeri da circo che sviluppa in autostrada va dedicato un apposito post), in qualunque condizione di traffico o di manto stradale... Morale: è arrivato il Sébastien Loeb dei poveracci.
Che però ignora un meccanismo semplicissimo: appiopparmi della peracottara (il termine non è propriamente questo ma se siete un po' fantasiosi sicuramente ci arriverete vicino) e alzare il dito medio alla mia direzione (soprattutto se non ci sono reali motivi che lo giustifichino) significa morte certa in venti secondi netti.
Come? Dato che nello scontro fisico avrei la peggio, opto per sguazzare allegramente nel ping pong della reciproca denigrazione, guerra nella quale, non foss'altro che per sfinimento dell'avversario, so di avere la meglio.
E non pensate che io sia un'incorreggibile rissosa, no, no, no! Se, malauguratamente, nei due casi succitati, mi capitasse di trascendere abbandonandomi ad uscite triviali (irripetibili anche in fascia non protetta) accompagnate da gesti poco eleganti, tranquilli... sappiate che si tratta solo di un mio personalissimo rituale apotropaico!
D'altronde se Archiloco, Mimnermo e compagnia a briscola si affidavano al loro, chi sono io per non avere il mio?

giovedì 17 gennaio 2013

DE POLITA ARTE EXSECRANDI OVVERO SULLA RAFFINATA ARTE DI RICOPRIRE, QUALCUNO O QUALCOSA, DI IMPROPERI (prima parte)


Perché ci sono denunce che non possono restare inascoltate
e quella glottologica che segue
ne è un valido esempio.
A dimostrazione del fatto che
noi del Cassonetto
sappiamo ergerci paladini delle giuste cause!
Go, Teto, go!

E' giunto il momento per il Cassonetto di aprirsi verso ampi orizzonti, direi politico-sociali, dando il proprio irrinunciabile contributo ad elevare la società, in nome dei diritti e in difesa dell'eguaglianza.
La Lingua è cultura, con il linguaggio si formano e si plagiano le menti, e inevitabilmente il significato dispregiativo attribuito verso un termine, si associa alla figura che quel termine rappresenta.
E' giunta l'ora di una vera e propria rivoluzione culturale, che liberi finalmente i maschietti dalla condizione negletta in cui la Società da millenni li sottopone.
Avete capito bene.
Noi maschi siamo ingiustamente ridicolizzati, emarginati, dispregiati, da un sistema linguistico-culturale oppressivo e repressivo, che impedisce all'individuo di esprimere a pieno le proprie potenzialità nella Società medesima.
Di cosa sto parlando?
Ma è evidente.
Se, come sostengono i neurolinguisti, il linguaggio delle emozioni cerca nelle parolacce il modo per far deflagrare il rimosso e dare stura all'inesprimibile, è evidente che la parolaccia ha sostituito la spada quale strumento per far grondare sangue nel nemico. In particolare, voglio qui tralasciare il filone creativo scatologico (sia pur assai creativo, da M3RD4, 5TR0N70 ed affini, CU70 compreso, che, però, per propria natura, afferisce anche al secondo filone), per concentrarmi sul filone genital-sessuale.
Come avete potuto vedere, datosi che aborro la volgarità e che il quoziente intellettivo dei lettori del Cassonetto è elevatissimo, ho usato ed userò un elaboratissimo codice alfanumerico per mascherare le parolacce, che solo gli eletti potranno decriptare.





A questo punto giunti mi corre l'obbligo di partire con la denuncia, anche se so di avventurarmi in un terreno spinoso quanto un cactus (appunto!).
Non c'è uomo al mondo che non si identifichi, in qualche misura (oddio, già parlare di misure a questo proposito è sconveniente) nel proprio organo genitale. Per cui possiamo, con certezza affermare, che l'uomo in quanto maschio è, coincide quasi col proprio organo genitale. E quanti epiteti negativi conoscete, che ridicolizzano questo aspetto? Uno che ragiona col C4770, è forse considerato intelligente? E uno che fa le cose a C4770 (anche se personalmente, citando l'esimio compianto prof. Scoglio, preferisco un più elegante “ad minchiam”)? Tanto è vero che, per indicare persona dalla dubbia ragionevolezza e dalla scarsa capacità astrattiva diciamo, appunto “testa di C4770”! Una persona a metà tra il fannullone e l'idiota è definita C4770NE o, per i più raffinati amanti del vernacolo un M1NCH10NE.
Una persona che fa le cose fatte male, realizza una C477AT4 e se questa scarsa capacità operativa perdura nel tempo, oppure se racconta falsità a raffica, viene definito C4774R0.
Parlando di falsità, ci arricchiamo di una nuova categoria di epiteti di origine genitale maschile, saltando di palo (magari!) in frasca, ovvero passando all'area periferica testicolare, difatti usualmente si dice che uno è un B4LL1ST4 o un C0NT4B4LL3.
Se, invece, una persona manifesta reiteratamente, palesemente, irritabilmente, propensione alla stupidità e all'idiozia, non la si può che definire C0GL10N3 o, anche qui, l'alter-ego siciliano prevale con la variante del M1NCH10N3.
Rendo omaggio alla mia origine geografica, per rimarcare la raffinatezza con la quale in siciliano si opera l'inversione linguistica tra M1NCH14 (da mentla - protuberanza, organo genitale maschile) e 5T1CCH10 (da osticulum piccola bocca - organo genitale femminile), mutuandola residualmente dalla lingua spagnola.
In ogni caso, ci sono mille altre variabili, che associano il pene ad ogni nefandezza possibile, a titolo di esempio FANC4771STA, C4C4C4770, ROMPIC4770, INC4774RS1, SC477ARSI, STARE SUL, NON CAPIRE UN, ST1C4771, i lombardeggianti P1RL4 e P1ST0L4.
Unica meritoria eccezione – ma l'eccezione, si sa, conferma la regola – è data dal termine C477UT0 che sta ad indicare persona dotata di grande carattere e determinazione (infatti esistono al mondo molte più donne che uomini con tale qualità).
E per quanto concerne l'organo genitale femminile? Ah, nulla! Altro che parità! In questo caso è tutto un trionfo. Che F1G0 (che bello!), è una F1G4T4 (è una cosa bellissima, o fatta veramente a regola d'arte)! Quella lì è una gran F1G4, una GN0CC4, una bella P4553R4, bella MON4, T0P4, e via andare...
E se una persona non è fortunata? Orbene, significa che è priva della cosa più degna di questo mondo, per cui, per definirla, si mette S privativo come prefisso e si dice che è persona SF1G4T4, dato che l'organo genitale femminile è associato a abbondanza, fortuna, fertilità.
Potevamo non avere una eccezione che confermasse la regola? Ovviamente no, ed infatti, in Triveneto per indicare persona sciocca, credulona e superficiale si dice: quello lì è un M0N4!



Ma comunque, lettrici e lettori, ho un sogno.
Sogno che un giorno, in Italia, adulti maleducati e ragazzini sboccati uniscano le loro mani e corrano in un grande prato verde, liberi di indicare i fiori e dire «Guarda, guarda, che grande C4774T4!» e che la sera, tornando a casa, le ragazzine vedano l'ultima pubblicità con l'equivalente estetico odierno di Brad Pitt e dicano «È veramente troppo M1NCH10!».
E saremo tutti, davvero più liberi, quando, durante la presentazione dell'I-phone 12, diremo dello Steve Jobs di turno «È davvero un grande, un grande C0GL10N3!».
Solo allora sarà definitivamente finita questa vergognosa discriminazione cazziale!


martedì 8 gennaio 2013

BUONI PROPOSITI E PROPOSITI BUONI

Di cosa potrebbe mai parlare il primo post del 2013 se non delle lodevoli e (almeno per la prima metà di gennaio) ferme intenzioni con cui allo scoccare della mezzanotte, intraprendenti e volenterosi, salutiamo il nuovo anno?
Un classico intramontabile: è il 31 dicembre e, attrezzati di lingerie rossa d'ordinanza, con spumante e calici alla mano pronti per il brindisi, ci si promette, con fare risoluto e deciso, tra sé e sé: «Da domani...» e poi via con una chilometrica lista.
Facendo una rapida indagine tra gli amici o in rete, non mancano nemmeno questo giro tra i buoni propositi più ricorrenti:
perdere peso;
smettere di fumare;
iscriversi in palestra (ma soprattutto andarci fino allo scadere dell'abbonamento);
trascorrere più tempo con il partner
e impegnarsi a trovare un lavoro più appagante.


Ora, non che io voglia disincentivare tali slanci rinnovatori ma – e qui parlo per esperienza personale – sbizzarrirsi senza sosta in elenchi di questo tipo è una specie di droga che crea assuefazione nonché l'illusione che non ci voglia niente per rispettarli poi però, è inevitabile, col passare dei giorni sentiamo che il nostro slancio si fa sempre più debole, l'euforia svanisce e ci si ritrova con i nostri buoni propositi che si consumano più in fretta degli spazzolini da denti.
Effetti collaterali del sovradosaggio, cari miei!
Ma come farcene una colpa: è più forte di noi! Basta ricordare che cadevano nella tentazione di interminabili liste anche gli eroi dei poemi greci (basti pensare allo scudo di Achille nell' “Iliade”)! D'altronde lo diceva pure Umberto Eco – che all'argomento ha pure dedicato un libro, la “Vertigine della lista” – in una intervista a Der Spiegel: «Dovunque si guardi nella storia della cultura, si trovano le liste. Elenchi di santi, eserciti e piante medicinali, o di tesori e titoli di libri».
Se nell’ “Ulisse” di Joyce il protagonista si sofferma ad elencare tutto ciò che trova dentro ai cassetti della sua cucina e se Mozart sta a ripercorrere tutte le donne sedotte dal Don Giovanni, vorremo mica meravigliarci se noi non riusciamo a liberarci dal rito delle liste di fine anno?
Il fatto stupefacente (e per i più superstiziosi consiglio una toccatina scaramantica a un pezzo di ferro, gioielli di famiglia, amuleti vari) è che, secondo Eco, dietro a questo sforzo si cela niente popò di meno che il desiderio di sconfiggere così facendo la morte: «Ci piacciono le liste perché non vogliamo morire», afferma, con un collegamento alquanto pindarico, lo scrittore alessandrino.
Qualunque sia il reale motivo sotteso a questa abitudine, io quest'anno ho abbandonato il rituale della lista dei buoni propositi e mi sono concessa un solo proposito buono: avere pietà del mio fegato cercando di portare più pazienza, contando fino a cento (ma anche mille nei casi più disperati) prima di perderla onde lavorare concretamente a modificare la mia inveterata propensione a incazzarmi come un gatto cui hanno appena pestato la coda tutte le volte che qualcuno fa qualcosa a me poco gradito.



E voi?
State anche voi alle liste come una cassetta di carote a un coniglietto?
In tale caso: cosa avete collocato nei primi cinque posti della vostra? Quali obiettivi vi siete prefissati di raggiungere per quest'anno (che di certo sarà alquanto in salita per i triscaidecafobici, cioè per tutti coloro i quali vedono nel 13 una inarrestabile fonte di iattura)?