lunedì 23 dicembre 2013

A CAVAL DONATO, (TALVOLTA) SI GUARDA IN BOCCA


Avete presente quella canzone degli “Elio e le storie tese”che fa:
«Posto che a Natale c'è uno scambio di regali
Che i regali vanno presi, impacchettati, poi li metti sotto l'albero
Posto che il problema principale è procurarsi dei regali
Non importa cosa prendi, l'importante è che li prendi
Provo a non ridurmi all'ultimissimo momento
Ventiquattro sera diciannove e ventinove negoziante, stai chiudendo
Mi accontento di qualunque puttanata
una maniglia colorata, un portaspilli, un portafogli, un portafigli, una cagata, qualcosa...»???
Be' anche se non conoscete “Baffo Natale”, di questo parla il post di oggi: di regali di Natale (e di che altro potevo disquisire a due giorni dal 25 dicembre?). Di regali programmati e studiati a tavolino un mese e mezzo prima e di quelli dell'ultimo momento.
E poiché oggigiorno spopolano vademecum che assicurano (!!!) la perfezione in ogni campo della vita umana (dal colloquio di lavoro – di cui abbiamo parlato la scorsa settimana – alla scelta del compagno di vita passando per mille altri decaloghi inutili), figurarsi se non ne facevano uno anche per aiutare a scegliere il presunto presente ideale.

Il presepe sarà pure coreografico, ma...
Ora, se è vero che dagli errori si dovrebbe trarre insegnamento, eccovi la mia personalissima top five – cioè l'elenco dei regali più orrendi che abbiano mai varcato la soglia della mia dimora in periodo natalizio – che potrebbe rivelarsi molto utile per evitare cinque clamorose topiche.
1.) È vero che sono un tipo freddoloso e che dorme con il piumone anche a Ferragosto ma regalarmi una liseuse all'uncinetto color rosa confetto (dall'effetto ammazzalibido assicurato) equivale a rischiare un'accusa per oltraggio al pudore.
Ergo: MAI comprare qualcosa “ad minchiam” senza pensare alla persona cui lo si sta regalando.
2.) Come descrivervi l'espressione del Rose quando ha scartato quei boxer rossi con vistose decorazioni allusive sul più bello di Roma e dotati anche di musichetta natalizia che partiva premendo un bottoncino posto sul fianco?
Forse nemmeno Lucia dos Santos quando nel 1917 ha visto a Fatima la Madonna ha sfoggiato un'espressione così incredula...
Morale: bandire push up, micro tanga o qualunque capo di biancheria che sfoci nel trash e, più in generale, cercare di astenersi dal regalare indumenti o oggetti troppo appariscenti e/o intimi soprattutto se non si ha molta confidenza con il destinatario.
3.) Secondo il papiro di spiegazione contenuto all'interno, si chiama “Le Penseur”, è opera di uno sconosciuto artista cileno prematuramente scomparso ed è (o dovrebbe essere) un inno alla creatività. In realtà questo marcantantonio di mezzo metro dal color grigio topo di fogna, ripiegato su se stesso come se fosse appena stato colpito da una colica renale, l'unica cosa che ti riesce a trasmettere, oltre a una tristezza infinita, è il seguente interrogativo: e adesso, dove lo nascondo?
Da ciò se ne deduce che: soprammobili di varie fogge e dimensioni, ninnoli prettamente natalizi tipo quelle palle con la neve che scende se li agiti, una ghirlanda – quintessenza del kitsch – che al passaggio di qualche malcapitato si illumina, le spuntano occhi e bocca e inizia a intonare “Jingle bells”, portatovaglioli a forma di corna di renna, tazze col faccione di Santa Claus dipinto sul fondo e via dicendo ricadono nella categoria degli “inutilia”, non sai dove metterli e se ti tocca lasciarli su qualche mobile diventano in tempo zero un ricettacolo di polvere (ma a Capodanno una delle tradizioni napoletane non consiste nel gettare fuori dalla finestra oggetti vecchi e/o mai utilizzati? Potrebbe essere un'idea...)
Quindi: cercare di astenersi dal regalare oggetti inutili.
4.) L'opera omnia di Emil Cioran... vi dico solo qualche titolo giusto per rendervi l'idea: “Squartamento”, “L'inconveniente di essere nati”, “Al culmine della disperazione”.
Ecco.
Non so come commentare in altro modo questo aberrante cadeaux...
In altre parole: se qualcuno vi sta sul culo ma dovete fargli un regalo per forza, non fateglielo capire in maniera così plateale.
5.) Un Natale di diversi anni fa, a casa di una zia del Rose abbiamo notato (e si poteva non farlo?) un raccapricciante alberello di Swarovski tutto sbaluginante e palle-dotato, piccolino di dimensioni ma dal peso specifico non indifferente, roba che se in una lite domestica ti sbagli a tirarlo dietro al coniuge, se lo centri lo accoppi.
E deve essere andata davvero così dal momento che due Natali dopo ci è stato recapitato, sbeccato in vari punti.
Che caduta di stile (e, ci credereste?, proprio dalla zia più sussiegosa di tutto il parentado)!!!
Da tenere a mente: NON riciclate, ma se proprio non potete farne a meno, fatelo con un po' di intelligenza!

... volete mettere con l'albero e i regali sottostanti? (Natale 1977)

Un ultimo consiglio: quando snapate a destra e a sinistra in cerca di un regalo, tenete sempre a mente l'aforisma del filosofo tedesco Theodor Adorno secondo cui «Nel migliore dei casi uno regala quello che gli piacerebbe per sé, ma di qualità lievemente inferiore» e regolatevi di conseguenza!
Buon Natale, amici Cassonettari!

giovedì 12 dicembre 2013

DAS CABINET DES DOKTOR CALIGARI OVVERO IL COLLOQUIO DI LAVORO PERFETTO NON ESISTE


Ma sì... avete presente “Il gabinetto del dottor Caligari”? Quel film muto del 1920 diretto da Robert Wiene e considerato il simbolo del cinema espressionista?


Forse non siete stati così arditi – e come darvi torto – da sciropparvene la visione, di certo però i cultori della saga del ragionier Ugo ricorderanno che ne “Il secondo tragico Fantozzi” il protagonista ottenne il posto di lavoro grazie ad un paraculo elogio di questa pellicola.
L'esilarante colloquio d'assunzione era andato pressappoco così:
Professor Guidobaldo Maria Riccardelli: Le piace il cinema espressionista tedesco?
Fantozzi: È il grande amore della mia vita e voglio in questa sede ricordare i grandi maestri Murnau e Robert Wiene, di cui tutti noi non possiamo fare a meno dell'irrinunciabile capolavoro Das Cabinet der Doktor Caligarissssss!
Prof.: […] E chi è David-Llewelyn-Wark Grft?
Fantozzi: Non...
Prof.: Grft!
Fantozzi: Non s... non sento.
Prof.: GRFT!
Fantozzi: Griffith! Griffith... è il padre del cinema americano. Io lo adoro, è come se fosse mio padre, sa, dottore?
Prof.: Bene, giovanotto. Lei è dei nostri!
A proposito di colloqui di lavoro, recentemente la Bbc ha stilato una sorta di elenco per garantire quello perfetto, affidandosi all’esperienza di una abile selezionatrice di una agenzia newyorkese, tale Lauren Ferrara, e sfornando sette consigli da tenere bene a mente.
Punto numero uno: arrivare in anticipo di almeno un quarto d'ora (che per una ritardataria cronica quale sono io, equivale già ad una partenza in salita).
Seconda regola: non improvvisare.
È fondamentale essersi studiati a tavolino l'interlocutore, l'azienda che rappresenta e il posto che si ambisce ricoprire. Solo così – assicurano – è possibile rispondere correttamente alle classiche domande tipo «Mi parli di Lei», «Quali sono i suoi obiettivi» e menate varie.
Terzo consiglio: sforzarsi di sorridere. D'altronde la prima impressione è quella che conta...
Quarto punto: tenere sotto controllo l'ansia, ricordando che tamburellare nervosamente sul tavolo per tutta la durata del colloquio potrebbe innervosire anche l'ipotetico datore di lavoro.
Quinto: non mentire (restrizione che ai tempi dei social è ben ostica).
Sesta regola: ringraziare, con una mail o una nota scritta.
Settimo e ultimo consiglio: scegliere l'abbigliamento giusto, con particolare attenzione per le scarpe. Al gentil sesso la Ferrara consiglia un paio di tacchi alti ma comodi, capaci di infondere molta fiducia.
Ora, non è per contraddire la Bbc ma io dei sette punti di cui sopra non ne ho rispettato nemmeno uno nel mio primo colloquio di lavoro, che a ben vedere più che un serioso abboccamento sembrava una gaia scenetta tratta dalla migliore commedia degli equivoci, eppure, non so grazie a quale santo in paradiso, sono riuscita a portare a casa uno dei più prestigiosi lavori che ho fatto sinora.
Io in quella autorevole fondazione culturale dovevo solo passare a lasciare il curriculum in segreteria. Dopo venti minuti di anticamera, visibilmente scazzata, ho dato un eloquente saggio del Nico Giraldi (nella foto immortalato in una delle sue pose più signorili) che alberga in me.


Il triviale sproloquio, sebbene a bassa voce, ha richiamato l'attenzione del compito presidente che si trovava a transitare di lì per caso.
Al suo confronto, Miranda Priestly de “Il diavolo veste Prada” era una donna di burro.




Pronti via, alla vista del mio abbinamento cromatico-lesivo (nonostante siano passati più di dieci anni, ancora ricordo che indossavo con l'encomiabile coraggio dei vent'anni un abito azzurro evidenziatore impreziosito da una sciarpa sul giallo limone dall'effetto catarifrangente assicurato), l'elegante Mega Direttore Galattico (per restare sempre in termini fantozziani), piacevole come la congiuntivite, ha risposto con un coreografico sollevamento di sopracciglia.
Non potevo partire peggio.
Dopo aver messo a dura prova la mia pazienza con un pistolotto interminabile sulla presunta inutilità della mia laurea in lettere con indirizzo filologico e dopo avermi ammorbata per un'ora sulla necessità di conoscere invece a menadito la politica monetarista di Einaudi (proprio in stile Guidobaldo Maria Riccardelli), l'esimio presidente – alto come un nano da giardino, riporto scarmigliato e un'inconfondibile fiatella di aglio che mi stava facendo diventare gli occhi azzurri – mi ha stretto la mano e mi ha indicato come guadagnare l'uscita.
In tutto questo, dopo una strenua quanto vana difesa del mio curriculum vitae, sono riuscita a distruggere la molla della mia penna a scatto a forza di giocarci nervosamente, non credo di aver inalberato nemmeno mezzo sorriso e nell'atto di alzarmi gli ho anche incidentalmente centrato il menisco con un calcio.
Per farla breve: esco da quell'ufficio come un reduce dalla campagna di Russia, mi trascino fino a casa e chiudo per tre giorni qualsiasi tipo di contatto col mondo esterno. Quando riapro la mia casella di posta elettronica, trovo un'ampollosa mail nella quale il Nostro decantava «l'ammirevole aplomb» – cito testuali parole – con cui avevo saputo tener testa alle sue provocazioni e mi proponeva di occuparmi dell'edizione di una serie di pubblicazioni esclusive.
Mezz'ora dopo stavamo già firmando il contratto.
Per dire che alle volte forare qualche gomma non equivale necessariamente a un fallimento.

P. S. = Per quanto riguarda il settimo punto del vademecum della Bbc, se volete essere sicuri di avere ai piedi delle scarpe fighe e comode – binomio non facile da trovare – vi consiglierei di buttare un occhio qui, http://www.barberabiella.com... tanto più che non dovete nemmeno abitare nei pressi di Biella!

venerdì 6 dicembre 2013

NEL MEZZO DEL CAMMIN DI NOSTRA VITA


Ieri sul Corriere della Sera ho letto un articolo nel quale si disquisiva su quello che per molti rappresenta uno spauracchio anagrafico non da poco.
Hai una collezione di cd ma non ne compri uno da anni?
I brani della band che ascoltavi quando andavi alle superiori ora passano sulle stazioni di rock classico?
Tutto quello che ti sembra accaduto un paio di anni fa in realtà risale ad almeno 10-15 anni addietro?
Sei sempre più preoccupato per la tua pensione?
Mtv, canale televisivo con il quale siete cresciuti tu e la tua generazione, adesso parla un linguaggio a te incomprensibile?
I film che al liceo consideravi imperdibili (Friends su di tutti) adesso sono trasmessi in seconda o addirittura in terza serata?
Ma soprattutto: hai sviluppato un'insana passione per il divano e passare una serata steso comodamente in poltrona è diventata un’abitudine a cui si rinuncia con difficoltà?
Se si è risposto affermativamente alle sette domande, secondo il giornalista, significa che si sta per varcare (o si è già varcato) la soglia degli “anta”.
 



Ora, tralasciando il fatto che non vivo l'approssimarsi di tale traguardo con angoscia – forse perché ho ancora un paio d'anni di buono – e credo che ogni età abbia i suoi pro e i suoi contro (ma in genere i primi non sappiamo apprezzarli perché troppo presi a lamentarci dei secondi salvo poi rimpiangerli entrambi ad anni di distanza), rilancio con i miei personalissimi cinque inequivocabili segni del passare del tempo:
hai una casa piena di scale e alla decima volta che affronti la rampa vieni colta dagli stessi sintomi avvertiti da Fantozzi all'attacco del colle del Diavolo durante la coppa Cobram: asfissia, occhi pallati, arresti cardiaci, lingue felpate, aurore boreali, miraggi;
se tiri le tre del mattino gozzovigliando sconsideratamente, il giorno successivo sei in coma vegetativo fino a pomeriggio inoltrato;
si inizia ad essere redarguiti di ripetitività (scena tipo: «Dobbiamo ricordarci di prendere il detersivo per la lavatrice, te l'ho già detto?», varcando la soglia del supermercato; risposta: «È solo la quinta volta, 'more!»);
la tua estetista ti suggerisce di iniziare precauzionalmente ad usare una crema antirughe, primo step di un inevitabile restauro conservativo;
al tuo parrucchiere capita sempre più spesso di farti osservare che con lo shatush si ringiovanisce di cinque, sei anni come niente.
Quarant'anni è un'età terribile. Perché è l'età in cui diventiamo quello che siamo”, sosteneva Charles Péguy.
Pur condividendo la seconda parte dell'affermazione del poeta francese, dissento sulla scelta dell'aggettivo: la terribilità o meno dipende da come ognuno è in grado di giocarsi la partita!