giovedì 21 marzo 2013

NOMEN OMEN

Sì, ok, lo riconosco: è un po' una reazione infantile. Ma quando sull'autostrada del Brennero mi sono trovata davanti questo camion e ho letto la scritta non sono riuscita a non ridere per cinque minuti. Sarà per una questione eufonica (o cacofonica, dipende dai punti di vista) ma a me l'idea che uno faccia Scaccabarozzi di cognome suscita ilarità.
E dire che io dovrei solo stare zitta.
Il mio cognome nove persone su dieci lo sbagliano: o lo scrivono attaccato o si dimenticano una sillaba finale o lo riescono a declinare in enne originali varianti. Non mi è andata meglio con quello “acquisito”. A dire il vero non amo usarlo ma le poche volte che – ad esempio nella prenotazione di un albergo, giusto per citare un fatto recente – mi tocca farlo, è un classico che io venga redarguita dall'interlocutore.
Scena tipo:
«Buongiorno, sono Elisabetta Rosa. Vorrei confermare la prenotazione xy....»
«Per confermargliela avrei bisogno del cognome, non dei suoi nomi di battesimo» mi sento precisare con tono sostenuto.
Ma amica centralinista, dì per cortesia ai criceti che fanno girare la ruota delle tue sinapsi neuronali di andare più velocemente: ti pare che una persona sana di mente si presenterebbe con i suoi nomi di battesimo tralasciando il cognome?
Sorvolando su ciò, va detto che, a differenza mia, ci sono parecchie donne del mondo della politica e dello spettacolo che amano usare il cognome del coniuge, addirittura alcune continuano a farlo pur non essendo più al suddetto legate come ad esempio Daniela Garnero, meglio conosciuta come Daniela Santanchè, o Angela Dorothea Kasner, che nonostante sia divorziata dal 1982, conserva ancora il cognome del primo marito, il signor Merkel.
E se vi faccio il nome di Hillary Diane Rodham? Niente? E dire che da quando nel 2007 si è candidata alla presidenza degli Stati Uniti d’America è diventata una delle donne più potenti al mondo. Forse anche grazie all'ingombrante cognome del marito: Clinton.
Che dire poi di un caso recentissimo, quello della signora Carter, definito dal “Guardian” addirittura una scelta sovversiva e sconcertante? Parlo della decisione della ex single lady Beyoncé che per il suo nuovo tour mondiale usa il cognome del marito, il rapper Jay-Z.
Apriti cielo: giornalisti e addetti ai lavori sul web e sulla carta stampata gliene hanno dette di tutti i colori chiedendosi perché mai una delle popstar più famose e ricche al mondo debba, nel XXI secolo, ancora ricorrere al cognome del coniuge, per giunta meno celebre di lei. No, ma... dico: sarà libera di usare ciò che vuole o deve indire un referendum prima?
A proposito della famiglia Carter – che ha avuto l'ardire di chiamare la primogenita Blue Ivy (che sarebbe una roba tipo “Edera blu”) – e per restare sempre in tema di nomi, vogliamo dire qualcosa della spiccata propensione all'eccentricità di alcuni vip?
Prendi Zowie, per esempio. Va bene che sei il figlio di David Bowie ma dopo che ti presenti per la millesima volta come “Zowie Bowie” alla mille-e-unesima prendi, vai all'anagrafe e o opti per cambiare Bowie in Scaccabarozzi o concludi che un anonimo Joe sia una perfetta sostituzione di Zowie.
Non è andata meglio ai figli di Gwyneth Paltrow e del leader dei Coldplay Chris Martin – Apple (Mela) e Moses (nientemeno!) – né alla figlia di Frank Zappa con l'impegnativo Moon Unit (Unità Lunare) e tanto meno a quella di Rob Morrow, Tu (ma avete presente? Tu Morrow!).
Si sono distinti in fatto di originalità anche David e Victoria Beckham (passi Romeo, ma Brooklyn, Cruz e Harper Seven sono imbarazzanti), Demi Moore e Bruce Willis (come non copiare la loro idea di battezzare un'innocente Tallulah Belle, espressione che nella lingua degli indiani d'America vuol dire Cascata Zampillante?) e Nicholas Cage che ha chiamato il suo pargolo Kal-el, il nome di Superman quando venne al mondo sul pianeta Krypton.
Forse andrebbe ascoltato l'accorato appello della figlia di Bob Geldof: basta con i nomi ridicoli ai bambini! E detto da una che si chiama Peaches Honeyblossom Michelle Charlotte Angel Vanessa Geldof, per gli amici Peaches (cioè Pesche)... La quale forse parla anche a nome delle sue sorelle, cui non è che sia andata tanto meglio: Fifi Trixiebelle, Pixie (fatina) e Tiger Lily (Giglio Tigrato).
Complimenti!
E non è che i personaggi del jet set nostrano siano da meno in quanto a bizzarrie onomastiche. A casa di Orietta Berti tutti i nomi devono cominciare con la O (Osvaldo il marito, Omar e Otis i figli), Michele Placido ha optato per Violante e Marta Marzotto per Diamante mentre la showgirl Elenoire Casalegno e dj Ringo devono essersi chiesti: «Perché scegliere un banale Maria quando si può affibbiare alla pupa un bel Swami?».
Ma la palma del più coraggioso va senz'altro a Ignazio La Russa che ha chiamato i suoi figli: Geronimo, Lorenzo Cochis e Leonardo Apache.
A sentire tutte queste stranezze, viene quasi da dire che è andata meglio al signor Felice Mastronzo e alle signore Chiappa Rosa e Zocco Lara!

lunedì 11 marzo 2013

OH-TELLA!

Nelle mie vene scorre per il 25% sangue veneto, per un altro 25% piemontese e per il restante 50% CALABRO.
Di questo 50% ne vado particolarmente orgogliosa, pur con tutti gli eccessi che ne conseguono.


Insomma a me, per trasformarmi in Otella (o meglio Oh-Tella, per dare più enfasi alla cosa) ci vuole un niente.
E da questo punto di vista il lavoro del Rose nel campo della moda non aiuta.
Ma il casus belli viene da un aneddoto prettamente casalingo.
Un mesetto fa, abbiamo iniziato alcuni lavori in casa e ha fatto la sua apparizione una conturbante geometra dai languidi occhi a triglia, con una acconciatura un po' cotonata e la frangetta fresca di piega, una tinta dal colore indefinibile e un tubetto di gloss sulle labbra, il tutto mal sistemato su un corpo da gnoma stile la testimonial dei formaggini Susanna.
Forse ignara del fatto che il bel Rose nella sua vita fosse già ben accompagnato e di certo ipovedente al punto da non aver scorto la fede al dito, forte della carica erotica che solo una donna armata di cazzuola e casco protettivo può trasmettere (sappiate che sono ironica), questa MacGyver in gonnella gli stava incollata come una lampreda di mare ed era tutto uno sculettamento & petulanza.
Sprovveduta!
Cara la mia Incantevole Creamy dell'edilizia 2.0, sappi che nonostante io fossi nella stanza adiacente a fingere di cucinare la peperonata con le cotiche, ciò non significa che da accorta Miss Marple io non avessi già provveduto a passarti allo scanner prima che varcassi la soglia di casa e il colpo di tosse che hai sentito era solo il primo avvertimento.
Quello successivo è dardeggiare sguardi omicidi (che però temo tu sia troppo ottusa per cogliere).




Sull'argomento, sono informatissima. Recenti ricerche hanno dimostrato che la gelosia ha una base biochimica cosicché nei soggetti più affetti, si osserva una netta diminuzione di serotonina, l’ormone che regola il nostro buon umore. Quindi meno serotonina, più cattivo umore, meno autostima e voilà: ecco che la giugulare comincia a pulsarti a tutto andare nel collo!
Gli antropologi sostengono che la gelosia possa essere retrospettiva (leggi: lo spauracchio delle ex. E approfittando di questa parentesi, vi sconsiglierei caldamente di bissare l'errore madornale commesso dall'incauto Tolstoj, che il giorno prima di sposarsi consegnò alla sua diciottenne fidanzata Sonia un diario bollente dove erano elencate con dovizia di particolari tutte le sue conquiste. Per la cronaca: la tapina non si riprese mai più) oppure preventiva con conseguente controllo ossessivo delle mosse del partner (il saggio Freud sosteneva che questo tipo di gelosia derivasse da una forma di inadeguatezza personale che porta a “vomitare” sul partner le proprie insicurezze... che culo!).
Nel mio caso, non è niente di tutto questo. Nel retrobottega del mio cervello so benissimo che il mio Rose è una personcina seria, come non ne esistono più sulla piazza. È sulle geometre in versione femme fatale che si riversa il mio disappunto.
La questione è la seguente.
Alcune settimane fa, ho letto un articolo sul “Corriere”, dal titolo “Quelle che si innamorano solo di uomini sposati” (so che il discorso può essere valido anche per gli ometti, ma dato che nell'articolo si parlava di donne ed io appartengo al gentil sesso, sento particolarmente nelle mie corde questa dissertazione al femminile).
Pare che ci siano molte donne che si innamorano solo di persone già fidanzate o sposate. Anzi, proprio il fatto che “sia già di un'altra” ai loro occhi rende più desiderabile e “appetibile” (le intervistate hanno usato proprio questo termine... Signore pietà!) un uomo.
Perché?
Le ipotesi avanzate sono due: per un senso (idiota) di competizione nei confronti della compagna ufficiale (al fine di dimostrare, al mondo e a se stesse, di essere così irresistibili da riuscire a strapparle la dolce metà... ma non hanno niente di meglio da fare, mi verrebbe da domandare?) oppure – e questa teoria è proprio sintomatica della microcefalia di alcune donzelle – perché dopo una certa età gli uomini liberi sono considerati dalle suddette “scarti di altre” quindi difettosi o problematici, ergo da evitare mentre uno già “scelto” ha sicuramente delle doti indiscutibili e testate.
Ora, va bene che la Cyndi ci ha insegnato che “Girls Just Wanna Have Fun” e che ben prima di lei la nostrana Rosanna Fratello confessava di essere una donna, non una santa ma tutto ha un limite. Il buon Dio non vi ha fatto dono del prezioso senso del discernimento? Non sapete distinguere l'uomo potenzialmente sensibile a certe tentazioni da quello che rimane invece impermeabile a certe avances?
Comunque sculetta e “petula” pure quanto vuoi, povera la mia Playmate del calcestruzzo, ma stai perdendo il tuo tempo... tanto qui non c'è trippa per gatti!
E se vi doveste mai accingere a lasciare un commento, una prece: astenersi saggi! Lo so da me, caro amico/a che adesso vorresti vestire i panni di Salomone ed elargirmi giudiziosi consigli per sconfiggere questa mia inveterata propensione alla gelosia, che tale stato emotivo, spesso ingiustificato, causa ansia e tormenti facendo vivere sia colui o colei che la prova sia la persona amata in uno stato di perenne, trepidante inquietudine, la quale a sua volta danneggia l'equilibrio psico-fisico e bla, bla, bla...
Negli anni – nonostante lo sfogo contenuto in questo post possa far pensare il contrario – ho imparato a gestirla e soprattutto a fare tesoro di un detto popolare calabrese sempre valido secondo cui ad essere troppo possessivi si rischia di finire nel peggiore dei modi.
Quindi, ricordate anche voi: l'omu gilusu, mori cornutu!