giovedì 26 luglio 2012

COME SOPRAVVIVERE A UNA DEGENZA OSPEDALIERA – SECONDA PARTE


Qualche giorno fa abbiamo lasciato la nostra Elisabetta in preda alle coliche, alle prese con i primi accertamenti clinici al Pronto Soccorso.
Come andrà a finire la sua “reality-fiction” (in questo racconto, infatti, che parte – ahimè! – da un fatto realmente accaduto, il confine tra esperienza personale e fantasia, tra realtà e finzione è alquanto labile. Andatevi a leggere la prima parte, di venerdì 20 luglio)
Ecco il secondo tempo!

Il primo Plasmon dopo giorni e giorni di digiuno!
 «Andiamo a fare una radiografia. Salga sulla lettiga», esordisce un non meglio identificato giovine bianco vestito. Scendere da questo trespolo per risalire su quel coso? Con uno sforzo fisico-cerebrale ai vertici? Ce la posso fare solo se mi dopate!
Sono qui da tre ore e già mi hanno frantumato il frantumabile.
C'è che il buon Dio quando ha distribuito la pazienza, non si è accorto che mancavo all'appello (e se già non ne ho quando sto bene, figuriamoci quando sono in queste condizioni!).
«Ti ingordasti di sagne chine?». Rieccola. Prego? «Cosa hai mangiato ieri sera? Una teglia di sagne chine?». Dopo aver letto i sottotitoli, colgo anche l'ironia. Mi sfugge ancora una cosa: sa... che? «Sagne chine sta per lasagne ripiene. È una tipica pasta al forno calabrese con polpette, uova sode, scamorza, mozzarella e pecorino grattugiato». Solo? Penso io. Da questa parentesi gastronomica deduco la provenienza e capisco il perché di quel suo accento strano. Mi sta già più simpatica!
Macché lasagne. Sono dieci giorni che seguo scrupolosamente una dieta detox per riuscire a entrare di nuovo in quel tubino da urlo che avrei indossato a (sigh!) Parigi, dove, per inciso, avrei dovuto passare un week end fuori porta con Etienne, il tipo fighissimo che ho conosciuto dieci giorni fa.
Tutto da disdire. Mi sento uno scampolo fallato, una Ferrari con le quattro gomme bucate, un camino con la canna fumaria ostruita, un bug di sistema, in poche parole una emme-e-erre-di-a!
Sono in preda ad una strana specie di ballo di San Vito che mi fa camminare ossessivamente su e già per il corridoio. Fino al sopraggiungere della nuova colica. E di nuovo ricompare la buffa Agnese. Mentre lei cerca di farmi ragionare e coricare sulla lettiga, io continuo a guardarle la targhetta col nome e per tenere impegnato l'unico neurone ancora sano (e non troppo coinvolto nel lamentarsi) le chiedo: «Ma Agnese... la mamma di Lucia?». Lei mi risponde di non avere figli. «No, intendo dire: hai presente Manzoni? Renzo e Lucia?». Al che lei un po' seccata mi ripete che di Lucia conosce solo una lontana zia che vive a Locri ma non la sente più da mesi. Un siparietto imperdibile. Decido che forse è meglio seguire il consiglio di AgnesecheperònonèlamammadiLucia. Mi sdraio, attendo l'esito degli ultimi esami e sarà quel che sarà, come diceva anche Tiziana Rivale.
Ricoverata. Si prospettano davanti a me dieci giorni di degenza. Siamo solo al primo. Sento la mancanza di Agnese, lei che sa sempre arrivare nel momento giusto per rattoppare con le sue uscite improbabili il mio morale malconcio. Che iella: oggi è il suo giorno libero.
Ecco, in questo momento pagherei per essere una di quelle maghette dei cartoni anni Ottanta, una di quelle ragazzine che con un oggetto da quattro soldi a mo' di bacchetta e una formula magica strampalata sapeva sempre come trasformare in suo favore anche la peggiore delle catastrofi.
Secondo giorno. Finalmente vedo sbucare Agnese. «Mi sento come se mi fosse caduto il mondo addosso», le confido. «Hai presente quella della televisione col caschetto biondo?» se ne esce lei. «Ma chi? La Carrà?» chiedo io. «Eh sì, dovresti fare come dice lei». «E cioè cosa? Mettermi a ballare il tuca tuca?» domando trasecolata. «Ma no, dico quella canzone dove fa “Se per caso cadesse il mondo, io mi sposto un po' più in là”. Capisci?»
Toma toma, cacchia cacchia, la saggia Agnese fuor di metafora mi aveva dato un consiglio tutt'altro che da buttare via fornendomi in un colpo bacchetta e formula magica per affrontare questa degenza con un animo diverso. Basta passare il tempo a lamentarsi!
Nono giorno. Non so cosa mi abbiano sparato in vena ma sto bene. Mi sento rinata. Ultima visita prima di venire dimessa.
Il dottore deve avere un amore segreto (neanche troppo) per i numeri, i calcoli e le statistiche ma io, dopo la prima proposizione di senso compiuto, già l'ho perso. Sono laureata in filosofia, gente!, ho sempre odiato la matematica, vengo da una settimana da incubo e parlo solo in presenza di una calcolatrice. Ma, buon uomo, ha una faccia così simpatica che sembra brutto non ascoltarlo (o almeno simulare di farlo): «Le coliche renali colpiscono circa un milione e mezzo di persone ogni anno e rappresentano il 2% delle cause di ricovero (mi sembra di stare a seguire “Medicina 33” e a ben vedere il dottore ha qualche vaga somiglianza con Luciano Onder... aiutatemi!). Colpiscono senza preavviso (e lo dice a me? Io che ero in tutte altre faccende affaccendata quella sera, presa dai preparativi per Parigi). In genere i calcoli che le causano colpiscono più gli uomini delle donne (uh, che fortuna – penso – proprio l'eccezione che conferma la regola dovevo essere?) e solitamente si ha un picco intorno ai 35 / 40 anni... strano, lei è così giovane (eh non facciamo lo splendido, dottore! Io agli “anta” ci arrivo a fine anno... ma l'ha letta la mia cartella clinica?). Comunque tutto è bene ciò che finisce bene, cara la mia Antonietta».
No, non l'ha letta. Adesso ne ho la conferma. Mi chiamo Elisabetta, E-L-I-S-A-B-E-T-T-A, come la Regina d'Inghilterra o come la Canalis, se preferisce. Non è difficile!
Ma il meglio lo riserva per il gran finale: «Eh signora, lo sa che una colica renale è forse uno degli eventi più dolorosi che possa capitare (nooo – penso io – davvero?). In confronto un decorso post operatorio, una ferita da arma da fuoco, un'ustione, un parto sono bazzecole!»
Bé... mi ha quasi convinta! Tutto sommato riconsidero l'eventualità di avere un pupo (ma forse è un po' prematuro rendere partecipe Etienne di questo mio progetto!).
Vado a salutare Agnese.
Lo confesso: mi dispiace lasciarla!
Il fatto è che ci sono svariati modi per vivere la propria professione. Agnese si è davvero presa cura di me, facendo anche di più di quello che le veniva richiesto, donandomi disinteressatamente ogni secondo libero del suo turno, riuscendo sempre a intercettare ogni attimo di sconforto o dolore. Bastava una sua battuta, sorriso o carezza per tornare a vedere il bicchiere mezzo pieno e questa è la grande differenza tra chi si limita a svolgere una professione per dovere e per portare a casa la pagnotta e chi invece, oltre a quest'ultima motivazione, lo fa anche per passione, perché ci crede davvero.
Grazie a lei quella che si prospettava come una permanenza forzata a Guantanamo si è rivelata quasi una vacanza al Club Med.
Bè, io vado.
Ah, Agnese... ancora una cosa: quando mi fai una teglia di sagne chine?

The end!

PiEsse: E voi? Vi sarà sicuramente capitato di aver ricevuto uno di quegli schiaffoni costruttivi (metaforicamente parlando), di aver dovuto affrontare episodi dolorosi che vi hanno posto davanti ad un bivio, costringendovi a modificare la vostra vita. E oggi, magari, vi ritrovate a pensare che, tutto sommato, siano stati un bene.

venerdì 20 luglio 2012

COME SOPRAVVIVERE A UNA DEGENZA OSPEDALIERA – PRIMA PARTE

Nel Cassonetto della Betta non si parla solo di argomenti leggeri, già ve l'ho detto. Possiamo affrontare qualunque argomento, ricordo, esperienza personale, anche quelle più tristi e angosciose, purché il fine ultimo sia quello di sdrammatizzare ed ironizzarci su. Questo non perché siamo dei decerebrati, noi Cassonetto's people, ma perché sono convinta che se non cerchiamo di vivere prendendo ciò che ci capita con ironia, la vita ci passa sopra come uno schiacciasassi. E non è bello.
Circa un anno fa, proprio in questo periodo, sono stata ricoverata d'urgenza. Ero reduce da un periodo di fuoco, lavorativamente parlando: il sodalizio con Miss Piccione (di cui già vi ho parlato) mi aveva davvero piallata, sfornavo con magna soddisfazione libri su libri, china sui miei codici antichi 20 ore al giorno ma mi ero del tutto dimenticata nel frattempo di condurre anche una vita. A ricordarmelo ci hanno pensato delle coliche lancinanti sopraggiunte all'improvviso in un afoso pomeriggio di luglio. Per farle calmare non è valso nemmeno sciropparmi originali mix di antidolorifici che avevo sotto mano. E a poco è servito ripetermi che da lì a due giorni sarei partita per le tanto sospirate vacanze e che sarebbe passato tutto.
Altro che mare, sole, sabbia, Puglia... si stavano per spalancare per me le porte del “Degli Infermi” di Biella ed aveva inizio un periodo alquanto in salita, che non auguro nemmeno al mio peggior nemico.
La mia cartella clinica, a rileggerla ora, era davvero imbarazzante ma quel “soggiorno” ospedaliero ha contribuito a farmi prendere coscienza della necessità di un cambiamento radicale.
Il mio corpo già se ne era accorto e urlava “Game over!” a squarciagola da tempo ma io, troppo presa da scadenze, bozze da correggere, libri da presentare, non lo avevo considerato.
Errore enorme!



Le persone intelligenti (e scusate la modestia, ma in tale novero mi ci metto pure io) però imparano dalle cazzate che fanno e come già diceva il buon Albert«Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie» – quell'episodio, oltre a farmi rivoluzionare la mia personalissima scala di valori, mi ha permesso di trovare il coraggio di girare pagina, di invertire radicalmente la rotta.
E così ha avuto inizio il “New Deal” della Betta.
Durante la mia convalescenza, ripensando a quei giorni, ho “partorito” questo racconto dove realtà e finzione, esperienza personale e fantasia si fondono in una specie di favoletta esopica dalla morale super importante: «WAKEUP AND LIVE NOW», per dirla alla Bob Marley.
A voi la prima parte!




Eccomi qui, distesa su questo letto d'ospedale come se fossi il Cristo del Mantegna!
Sono arrivata al pronto soccorso circa due ore fa, salutando tutti gli astanti con un saggio del mio vocabolario formato per il 95% da imprecazioni colorite. E dire che nella vita tutti mi pensano una severa e morigerata insegnante di latino nel più rinomato liceo cittadino.
Oramai ho perso il conto. Cosa sarà? La quarantacinquesima colica questa? Magari quando arrivo a cento avrò diritto a un premio.
E questa adorabile fanciulla con un contenitore di plastica in mano? Di nuovo? «Benedetta signorina, quante volte ve lo devo dire? No, non sono incinta». E comunque – penso – se continuate a chiedermelo mentre io sono qui piegata in due dal dolore, significa che esiste una remota possibilità che ai primi mesi di gravidanza una porti via un male del genere e quindi mi sentirei di escludere l'eventualità di diventare madre in un futuro più o meno prossimo.
«Se proprio ci tiene tanto – tornando a rivolgermi all'infermiera, lentigginosa, capelli color miele, minuta, costantemente col sorriso stampigliato manco avesse una paresi facciale (se avesse avuto anche due codini sarebbe stata la reincarnazione di Candy Candy) – appena avrò finito di contorcermi, ci riprovo».
«Dottore? Scusi? Qualcuno?». Diamine!
Non avevo calcolato che varcata la soglia di questo posto, si entra in una nuova dimensione spazio-temporale. I minuti sembrano ore e ho la sensazione di essere qui da giorni. Possibile che non transiti nessuno?
Alla fine, eccolo: tarchiato, dotato di una voce musicale come il rumore delle unghie sulla lavagna, con due fondi di bottiglia al posto degli occhiali e una fiatella imbarazzante.
Inizia a visitarmi solo con l'imposizione delle mani. Ma chi sei? L'assistente del divino Otelma?
A seguire, una sessione di domande a raffica, roba che se mi avessero dotata anche di cuffia, avrei detto di trovarmi al cospetto di Mike a “Lascia o Raddoppia”.
Il medico tritanervi, piacevole quasi quanto il venire sorpresi da una forma fulminante di congiuntivite il 15 di agosto mentre si è in riva al mare a strafogarsi di impepata di cozze, prende lo stetoscopio. E dopo cinque minuti passati a tirare fuori la lingua e a dissertare sulla mia regolarità intestinale, se ne esce con un: «Sarà incinta». Aridaje!
Non gli sto a spiegare che non ho il minimo dubbio al riguardo dato che sono sfidanzata da un anno e non praticante su per giù dallo stesso periodo ma preferisco sorvolare sui dettagli della mia vita sessuale e rimango in silenzio. A meno che io non sia una novella Madonna (e non intendo la cantante). Mi limito a fissarlo. Lui mi guarda. Impassibile. La temperatura della stanza scende sensibilmente di almeno una decina di gradi.
Sono furiosa. Per calmarmi adotto la tecnica che applico con successo al computer quando mi si impalla: clicco compulsivamente su OK sperando nel miracolo. Opto per essere accondiscendente onde evitare ulteriori discussioni.
«Non si preoccupi – conclude – tra un paio d'ore è fuori». Il pronostico si sarebbe rivelato attendibile quasi quanto l'affermazione: l'Alaska pullula di lemuri. Ma forse il dottor Ross dei miei stivali (avete presente chi intendo? Massì, il sex symbol americano di E.R. che talvolta bazzica sul lago di Como) intende dire che tra due ore andrò completamente fuori di testa.
Ma per avere una flebo di antidolorifico, devo fare domanda su carta bollata?
Alzo gli occhi al cielo in preda alla disperazione e incrocio quelli della mia Candy Candy, che, apprendo dalla targhetta, si chiama Agnese.
«Respira... adesso passa», mi dice. Mi sentivo come quando sei su un aereo intercontinentale che per qualche strana anomalia mentre sta per sorvolare l'oceano deve fare un atterraggio di emergenza e le assistenti di volo si sgolano a ripeterti «No panic» infinocchiando i passeggeri con le peggio scuse cui nemmeno un poppante abboccherebbe mentre a te verrebbe solo da dire «“No panic” a tua sorella!».
Apprezzo comunque il suo sforzo di calmarmi.


mercoledì 11 luglio 2012

LE MERAVIGLIE DELLA CONVIVENZA – SECONDA PARTE


Qualche settimana fa, abbiamo parlato delle meraviglie (o presunte tali) della convivenza prendendo spunto dalla testimonianza di una Cassonetto's Ladies.

Ménage alla Carlo e Alice?
 Posto che su questo argomento ci potremmo fare un blog (e non è da escludere... se qualcuno mi ruba l'idea, mordo!), in questo post analizzeremo altri aspetti dell'annosa questione, partendo, ancora una volta, dal racconto di Lady V. che, con il suo inconfondibile stile, ci racconta della pigrizia del suo compagno e di come sia riuscita (SANTA SUBITO!) ad averla vinta portando sulla retta via l'indolente Ginetto (per chi non ci avesse seguito nei post precedenti – male, malissimo! – sappiate che Lady V. e Ginetto sono nomi di fantasia, adottati solo per tutelare le nostre Cassonetto's Girls ed evitare che le loro genuine confessioni vengano lette e accolte con ira funesta da fidanzati / mariti... questa precisazione giusto perché voi, pronti via!, non pensiate che il mio blog sia seguito da gente scentrata dotata di pseudonimi strani).
«Lo sapete che il mio coinquilino adorato è un ginnasta? Riesce a scavalcare a piè pari l'immondizia che gli metto davanti alla porta d'ingresso, senza prenderla in considerazione neppure per un nanosecondo. Gli ho spiegato che i suoi muscoli bicipiti non mi servono a niente se scende quattro volte al giorno le scale per uscire con le mani vuote a ciondoloni.
Invece io, donna manager, credo che se due volte al giorno porta giù la monnezza posso dargli una volta alla settimana la plastica, tre volte l'umido, una il vetro e due l'indifferenziata dove gli butto i calzini che lui non trova più. Ma la mente dell'uomo è superiore (o così crede) e pensa di spostare gli oggetti col pensiero. Esempi: la tazza della colazione lasciata sul tavolo viene spostata con forza delle meningi nel lavabo, i calzini dal fondo del letto al cesto del bucato in bagno (passando attraverso una parete, vi rendete conto?) e le mutande dallo stendino al cassetto (senza aprire il cassetto?), potere della levitazione.
Quindi ho imparato ad aspettare. D'altronde una donna coltiva l'arte della pazienza sin da piccola, a volte aspetta il principe azzurro, a volte aspetta il treno per Torino, io ho aspettato cinque giorni, che lui si accorgesse, entrando in casa, dell'odore di cadaverina e putrescina che lo accoglievano... quindi si è accorto che i suoi poteri non funzionavano più (nella monnezza avevo messo anche la kriptonite) e il giorno dopo (senza che io dicessi nulla) ha portato giù la monezza!
Ho solo dovuto indossare la mascherina al naso gli ultimi due giorni (avevo cucinato il pesce e messo le lische nella monnezza... faceva parte del piano) e bruciare più incenso che il Papa in camera da letto. Ma ce l'ho fatta, ho vinto! Impagabile.
E lui la sera, con aria da cucciolo, ha preteso anche la benedizione di coccole su quanto era stato bravo a portare giù lo schifo, senza che io parlassi (la mascherina e Fleming in sogno con le sue muffe evidentemente non erano chiari segnali).
Così ho applicato la pazienza alle altre piccole cose quotidiane: quando il totem di vasetti di yogurt vuoti è caduto sulla chitarra, ha scoperto che non si buttavano da soli, quando è rimasto senza calzini, li ha messi a lavare e quando gli ho servito la colazione nel bicchiere di carta ha iniziato a sparecchiare. Che uomo!
Ho scoperto così che posso veramente avere un rapporto alla pari senza trasformarmi in sua mamma, se alla pari intendiamo che io vedo le cose nel momento reale in cui accadono ma devo aspettare circa una settimana prima che se ne accorga anche lui».
In casa Rose invece funziona così: ci sono ambiti nei quali spadroneggia la Betta (e guai a intromettersi!) ed altri di competenza del Rose (nei quali – e che ve lo dico a fare? – la Betta si intromette, impipandosene allegramente dei divieti).
Qualche esempio?
La cucina... è il mio regno. Adoro spadellare e soprattutto rielaborare le ricette inserendoci qualche variante personalizzata (ed il mio “additivo segreto” non è lo sputo – allusione al film “Mani di velluto” di Adriano Celentano, avete presente? – a meno che a cena non siano stati invitati ospiti particolarmente indigesti!) ma... ovvio che ci sia un “ma”.
Io ho dei seri problemi con le misure, le proporzioni, i calcoli, le quantità e tutto ciò che può avere un qualche collegamento con la matematica e dintorni (altrimenti, mica avrei fatto la filologa nella vita!).
Quindi se una ricetta è per otto persone, adattarne le dosi a solo due commensali è un vero dramma.
Inizio bene (calcolatrice alla mano, foglio di carta, matita, più, meno, per, diviso....) ma poi, colta da irrefrenabile scazzo, vado a occhio.
Altro dramma.
E così quando qualcosa non mi torna perché ho clamorosamente cannato le dosi e mi trovo in alto, altissimo mare... c'è una sola soluzione: chiamare in soccorso lui, il serafico Rose che si adatta a vestire i panni del valvassore, si pone pazientemente in modalità “Ricalcolo percorso” (lo dice anche il vostro navigatore satellitare?), individua l'origine del casino (in genere con quali ingredienti ci sono andata giù senza ritegno) e si mette a ripesare, grattugiare, affettare, sminuzzare, impastare... insomma, è un Bimby vivente!
Tipo... immaginatevi la scena: siamo sposati da nemmeno tre mesi, ferragosto 2005... caldo, afa, voglia di oziare... ma... eh! eh! Alla Betta quale eccellente idea transita la mente? Di fare la frittura dolce! No, dico: la frittura dolce!

"A noi due, semolino!"
Fai il semolino, taglialo a pezzi, impanalo, friggilo... se a un certo punto non ci fosse stato il Rose, sarei ancora lì a prepararlo adesso. Com'è, come non è, devo aver un po' troppo ecceduto negli ingredienti (e alla fine della fiera, ce n'era così tanto da riuscire comodamente a sfamare l'intera Biella per un anno).
Il giardino invece è di competenza del Rose ma per dimostrare che, in caso, saprei occuparmene pure io e che con zappe, rastrelli, decespugliatori e compagnia briscola io ho un'invidiabile dimestichezza... ecco... un bel giorno, mentre la mia dolce metà tentava di farsi un sonnellino postprandiale... WROAM! WROAM! Parte il tagliaerba con la Betta dietro a rincorrerlo (e vi dico solo che il mio prato è tutto un sali e scendi)!

Che donna versatile: dalle pergamene antiche al rastrello!

Da allora ho capito che “manutenzione del giardino” UGUALE “Rose's affaire”.
E va bene così!

PiEsse = E voi? Come siete? Delle pazienti Lady V. o delle pasticcione come la Betta? Degli scansafatiche alla Ginetto o dei duttili Rose?

lunedì 2 luglio 2012

DAMMI UNA LAMETTA


(con la quale però NON mi taglio le vene, come suggeriva Donatella)

È scoppiato il caldo, gente! E come ogni estate, per affrontare queste temperature torride, ci sentiamo ripetere, sui giornali o in televisione, sempre le stesse (un po' banalotte) raccomandazioni, che vado citandovi random:
evitate di uscire e di svolgere attività fisica nelle ore più calde (come astenersi dal fare una bella corsettina in pausa pranzo con 35° all'ombra e un'umidità del 100%? Certo che se non ce lo suggeriva il Ministero della Salute, dubito che noi ci saremmo arrivati da soli, in effetti!);
cercate di lavorare in un ambiente rinfrescato da un ventilatore o condizionatore (o, se preferite, anche da un bell'ometto che vi sventoli a torso nudo rami di palma per farvi aria);
se vi esponete al sole, riparatevi la testa, a vostra scelta con un trendy cappello Panama (che fa tanto star del jet set), un variopinto foulard (elegante alla Grace Kelly) o un triste ombrellino (che fa molto effetto turista giapponese in gita a Roma a ferragosto);
in caso di colpo di sole o di calore, bagnatevi subito con acqua fresca;
bevete molti liquidi (ma dai? Avvertite come un senso di secchezza delle mucose del cavo faringeo? Mhm... nooo, è una sensazione sconosciuta quando fa caldo! Da quanta acqua sto ingerendo in questo periodo ho anche preso in considerazione l'ipotesi di lavorare su una comoda... giusto perché essendo pipì-pigra, termine coniato dalla mia geniale amica Polee, questa soluzione potrebbe evitarmi una cistite da “eccessivo trattenimento di liquidi” come direbbero quelli dotti in medicina);
consumate pasti leggeri, preferendo frutta e verdura (quindi dite che un piattone di lasagne belle “besciamellose” seguito da un fritto misto alla piemontese è da escludere?);
e infine indossate indumenti chiari, meglio se di cotone o lino, ampi e/o corti.
Tradotto significa, che se non vuoi fare l'effetto Franchino (e per chi non conoscesse – come è possibile? – il peloso autostoppista di fantozziana memoria, guardatevi la scena della sua apparizione), c'è una sola soluzione: DEPILAZIONE, dal rasoio alla ceretta passando per le creme decoloranti.

Mr. Franchino
Diciamocelo subito: per avere la pelle liscia come il culetto di un neonato, bisogna soffrire. E quindi dovete andare di ceretta o epilatore ed escludere già subito in partenza l'opzione a.) così come la c.) e cioè quelle più indolori: col rasoio i peli vi ricrescono più folti e spessi di prima, con la crema non correte il rischio dell'effetto pelo-ispido-tipo-riccio ma di certo il risultato non è molto preciso e quindi dovete ricorrere alla pinzetta per eliminare quelli che non avete asportato via con la spatola (e mettete in conto di dovervi aggirare per casa cosparse del suddetto prodotto per un tempo di certo superiore a quello prospettato nelle istruzioni perché per qualche strano motivo il vostro pelo non ci mette MAI 20 minuti per indebolirsi e cadere... quindi se avete fretta non prendete nemmeno in considerazione questo metodo).
E poi volete mettere la seccatura della ricrescita? Dopo cinque/massimo dieci giorni siete di nuovo punto e a capo.
L'eventualità di decolorare non ve la prospetto nemmeno: avete presente che effetto imbarazzante avrebbe una soluzione di quel tipo applicata su quelle che, come me, sono more ed hanno pure la carnagione mediterranea (a meno che non vi esalti l'idea di sembrare dei Gremlins biondi)?
Quindi, rassegnatevi: non vi resta che la ceretta per un effetto duraturo e preciso.
E se sotto sotto siete un po' delle codarde e al primo giro di Silk-épil ululate dal male chiedendovi perché non siete nate col gingillo invece che donne (e dire che ci avevano detto che avremmo “solo” partorito CON DOLORE) e soffrite troppo per farvi un altro millimetro quadrato di gamba, c'è la soluzione “estetista”, cioè delegare una sadica che si occuperà di decespugliarvi gambe, braccia, cosce, ascelle ma soprattutto lui,il maledetto: l'inguine... un'esperienza in confronto alla quale camminare sui carboni ardenti insieme a Giucas Casella che vi tiene per mano ripetendovi “Change” vi sembrerà una passeggiata!
Per fortuna io ho la Sara (cioè per chi è di Biella o dintorni o abita da tutt'altra parte ma vuole un'estetista davvero brava: “L'Angolo del Benessere”, via Repubblica 8... e con questa pubblicità mi sono meritata un trattamento a scelta gratis, vero?) che mi fa assumere le pose più strane per assicurarmi una depilazione perfetta (roba che in confronto l'étoile Eleonora Abbagnato è un po' legnosa), che studia con precisione goniometrica la sgambatura, che per non farmi sentire troppo dolore nello strappo mi distrae cantandomi Sal da Vinci e che per ricompensarmi di questa immane fatica mi coccola con un massaggio polinesiano così rilassante da ringraziare il Signore per essere venuta al mondo!

La sadica (con affetto, neh!) Sara in azione
E a proposito di peli superflui, creme, maschere di bellezza, balsami, scrub, prodotti drenanti, antiaging, leviganti oltre a varie ed eventuali altre pratiche igienico-estetiche volte ad abbellire, rassodare, depilare, truccare (e l'elenco potrebbe andare avanti ore) il nostro corpo, qualche giorno fa una cassonetto's lady, la Ele, mi ha raccontato la storia di un ménage à trois davvero molto divertente, che voglio condividere con voi, e cioè: lei, il Gino (nome di fantasia che per questioni di privacy daremo alla sua dolce metà) e il bagno (che cosa andavate pensando, maliziosi?).
«La gestione del bagno è un affare delicato, più delicato della gestione delle lenzuola. Il bagno è il cubicolo santo in cui le donne provvedono alla manutenzione del proprio corpo (togliere peli, schiacciare cose, togliere cose, metterne altre, sbiancare, tingere eccetera, eccetera) ed espletano bisogni corporali che altrimenti negherebbero.
Per quanto possa essere romantico fare la doccia insieme, io ho bisogno a volte di pulirmi da sola, rasoiarmi in santa pace e togliere quei 5 peletti che hanno attecchito sul mento, chiara sindrome dell'imbefanimento anticipato, senza essere scrutata.
È questo il mistero di cui tanto si parla e che va mantenuto tale se si desidera tenere alto il tasso erotico della coppia.
Quindi voto “sì” alla chiave nel bagno e ancora “sì” a chiudermi dentro per 15 minuti, pur bruciando le carote, per stare in santa pace comodamente seduta sul wc con la mia nuova copia di “Vanity fair” o col tablet aperto su “I racconti del cassonetto”
Cosa aggiungere? Seguite il suo esempio, donne!