lunedì 23 dicembre 2013

A CAVAL DONATO, (TALVOLTA) SI GUARDA IN BOCCA


Avete presente quella canzone degli “Elio e le storie tese”che fa:
«Posto che a Natale c'è uno scambio di regali
Che i regali vanno presi, impacchettati, poi li metti sotto l'albero
Posto che il problema principale è procurarsi dei regali
Non importa cosa prendi, l'importante è che li prendi
Provo a non ridurmi all'ultimissimo momento
Ventiquattro sera diciannove e ventinove negoziante, stai chiudendo
Mi accontento di qualunque puttanata
una maniglia colorata, un portaspilli, un portafogli, un portafigli, una cagata, qualcosa...»???
Be' anche se non conoscete “Baffo Natale”, di questo parla il post di oggi: di regali di Natale (e di che altro potevo disquisire a due giorni dal 25 dicembre?). Di regali programmati e studiati a tavolino un mese e mezzo prima e di quelli dell'ultimo momento.
E poiché oggigiorno spopolano vademecum che assicurano (!!!) la perfezione in ogni campo della vita umana (dal colloquio di lavoro – di cui abbiamo parlato la scorsa settimana – alla scelta del compagno di vita passando per mille altri decaloghi inutili), figurarsi se non ne facevano uno anche per aiutare a scegliere il presunto presente ideale.

Il presepe sarà pure coreografico, ma...
Ora, se è vero che dagli errori si dovrebbe trarre insegnamento, eccovi la mia personalissima top five – cioè l'elenco dei regali più orrendi che abbiano mai varcato la soglia della mia dimora in periodo natalizio – che potrebbe rivelarsi molto utile per evitare cinque clamorose topiche.
1.) È vero che sono un tipo freddoloso e che dorme con il piumone anche a Ferragosto ma regalarmi una liseuse all'uncinetto color rosa confetto (dall'effetto ammazzalibido assicurato) equivale a rischiare un'accusa per oltraggio al pudore.
Ergo: MAI comprare qualcosa “ad minchiam” senza pensare alla persona cui lo si sta regalando.
2.) Come descrivervi l'espressione del Rose quando ha scartato quei boxer rossi con vistose decorazioni allusive sul più bello di Roma e dotati anche di musichetta natalizia che partiva premendo un bottoncino posto sul fianco?
Forse nemmeno Lucia dos Santos quando nel 1917 ha visto a Fatima la Madonna ha sfoggiato un'espressione così incredula...
Morale: bandire push up, micro tanga o qualunque capo di biancheria che sfoci nel trash e, più in generale, cercare di astenersi dal regalare indumenti o oggetti troppo appariscenti e/o intimi soprattutto se non si ha molta confidenza con il destinatario.
3.) Secondo il papiro di spiegazione contenuto all'interno, si chiama “Le Penseur”, è opera di uno sconosciuto artista cileno prematuramente scomparso ed è (o dovrebbe essere) un inno alla creatività. In realtà questo marcantantonio di mezzo metro dal color grigio topo di fogna, ripiegato su se stesso come se fosse appena stato colpito da una colica renale, l'unica cosa che ti riesce a trasmettere, oltre a una tristezza infinita, è il seguente interrogativo: e adesso, dove lo nascondo?
Da ciò se ne deduce che: soprammobili di varie fogge e dimensioni, ninnoli prettamente natalizi tipo quelle palle con la neve che scende se li agiti, una ghirlanda – quintessenza del kitsch – che al passaggio di qualche malcapitato si illumina, le spuntano occhi e bocca e inizia a intonare “Jingle bells”, portatovaglioli a forma di corna di renna, tazze col faccione di Santa Claus dipinto sul fondo e via dicendo ricadono nella categoria degli “inutilia”, non sai dove metterli e se ti tocca lasciarli su qualche mobile diventano in tempo zero un ricettacolo di polvere (ma a Capodanno una delle tradizioni napoletane non consiste nel gettare fuori dalla finestra oggetti vecchi e/o mai utilizzati? Potrebbe essere un'idea...)
Quindi: cercare di astenersi dal regalare oggetti inutili.
4.) L'opera omnia di Emil Cioran... vi dico solo qualche titolo giusto per rendervi l'idea: “Squartamento”, “L'inconveniente di essere nati”, “Al culmine della disperazione”.
Ecco.
Non so come commentare in altro modo questo aberrante cadeaux...
In altre parole: se qualcuno vi sta sul culo ma dovete fargli un regalo per forza, non fateglielo capire in maniera così plateale.
5.) Un Natale di diversi anni fa, a casa di una zia del Rose abbiamo notato (e si poteva non farlo?) un raccapricciante alberello di Swarovski tutto sbaluginante e palle-dotato, piccolino di dimensioni ma dal peso specifico non indifferente, roba che se in una lite domestica ti sbagli a tirarlo dietro al coniuge, se lo centri lo accoppi.
E deve essere andata davvero così dal momento che due Natali dopo ci è stato recapitato, sbeccato in vari punti.
Che caduta di stile (e, ci credereste?, proprio dalla zia più sussiegosa di tutto il parentado)!!!
Da tenere a mente: NON riciclate, ma se proprio non potete farne a meno, fatelo con un po' di intelligenza!

... volete mettere con l'albero e i regali sottostanti? (Natale 1977)

Un ultimo consiglio: quando snapate a destra e a sinistra in cerca di un regalo, tenete sempre a mente l'aforisma del filosofo tedesco Theodor Adorno secondo cui «Nel migliore dei casi uno regala quello che gli piacerebbe per sé, ma di qualità lievemente inferiore» e regolatevi di conseguenza!
Buon Natale, amici Cassonettari!

giovedì 12 dicembre 2013

DAS CABINET DES DOKTOR CALIGARI OVVERO IL COLLOQUIO DI LAVORO PERFETTO NON ESISTE


Ma sì... avete presente “Il gabinetto del dottor Caligari”? Quel film muto del 1920 diretto da Robert Wiene e considerato il simbolo del cinema espressionista?


Forse non siete stati così arditi – e come darvi torto – da sciropparvene la visione, di certo però i cultori della saga del ragionier Ugo ricorderanno che ne “Il secondo tragico Fantozzi” il protagonista ottenne il posto di lavoro grazie ad un paraculo elogio di questa pellicola.
L'esilarante colloquio d'assunzione era andato pressappoco così:
Professor Guidobaldo Maria Riccardelli: Le piace il cinema espressionista tedesco?
Fantozzi: È il grande amore della mia vita e voglio in questa sede ricordare i grandi maestri Murnau e Robert Wiene, di cui tutti noi non possiamo fare a meno dell'irrinunciabile capolavoro Das Cabinet der Doktor Caligarissssss!
Prof.: […] E chi è David-Llewelyn-Wark Grft?
Fantozzi: Non...
Prof.: Grft!
Fantozzi: Non s... non sento.
Prof.: GRFT!
Fantozzi: Griffith! Griffith... è il padre del cinema americano. Io lo adoro, è come se fosse mio padre, sa, dottore?
Prof.: Bene, giovanotto. Lei è dei nostri!
A proposito di colloqui di lavoro, recentemente la Bbc ha stilato una sorta di elenco per garantire quello perfetto, affidandosi all’esperienza di una abile selezionatrice di una agenzia newyorkese, tale Lauren Ferrara, e sfornando sette consigli da tenere bene a mente.
Punto numero uno: arrivare in anticipo di almeno un quarto d'ora (che per una ritardataria cronica quale sono io, equivale già ad una partenza in salita).
Seconda regola: non improvvisare.
È fondamentale essersi studiati a tavolino l'interlocutore, l'azienda che rappresenta e il posto che si ambisce ricoprire. Solo così – assicurano – è possibile rispondere correttamente alle classiche domande tipo «Mi parli di Lei», «Quali sono i suoi obiettivi» e menate varie.
Terzo consiglio: sforzarsi di sorridere. D'altronde la prima impressione è quella che conta...
Quarto punto: tenere sotto controllo l'ansia, ricordando che tamburellare nervosamente sul tavolo per tutta la durata del colloquio potrebbe innervosire anche l'ipotetico datore di lavoro.
Quinto: non mentire (restrizione che ai tempi dei social è ben ostica).
Sesta regola: ringraziare, con una mail o una nota scritta.
Settimo e ultimo consiglio: scegliere l'abbigliamento giusto, con particolare attenzione per le scarpe. Al gentil sesso la Ferrara consiglia un paio di tacchi alti ma comodi, capaci di infondere molta fiducia.
Ora, non è per contraddire la Bbc ma io dei sette punti di cui sopra non ne ho rispettato nemmeno uno nel mio primo colloquio di lavoro, che a ben vedere più che un serioso abboccamento sembrava una gaia scenetta tratta dalla migliore commedia degli equivoci, eppure, non so grazie a quale santo in paradiso, sono riuscita a portare a casa uno dei più prestigiosi lavori che ho fatto sinora.
Io in quella autorevole fondazione culturale dovevo solo passare a lasciare il curriculum in segreteria. Dopo venti minuti di anticamera, visibilmente scazzata, ho dato un eloquente saggio del Nico Giraldi (nella foto immortalato in una delle sue pose più signorili) che alberga in me.


Il triviale sproloquio, sebbene a bassa voce, ha richiamato l'attenzione del compito presidente che si trovava a transitare di lì per caso.
Al suo confronto, Miranda Priestly de “Il diavolo veste Prada” era una donna di burro.




Pronti via, alla vista del mio abbinamento cromatico-lesivo (nonostante siano passati più di dieci anni, ancora ricordo che indossavo con l'encomiabile coraggio dei vent'anni un abito azzurro evidenziatore impreziosito da una sciarpa sul giallo limone dall'effetto catarifrangente assicurato), l'elegante Mega Direttore Galattico (per restare sempre in termini fantozziani), piacevole come la congiuntivite, ha risposto con un coreografico sollevamento di sopracciglia.
Non potevo partire peggio.
Dopo aver messo a dura prova la mia pazienza con un pistolotto interminabile sulla presunta inutilità della mia laurea in lettere con indirizzo filologico e dopo avermi ammorbata per un'ora sulla necessità di conoscere invece a menadito la politica monetarista di Einaudi (proprio in stile Guidobaldo Maria Riccardelli), l'esimio presidente – alto come un nano da giardino, riporto scarmigliato e un'inconfondibile fiatella di aglio che mi stava facendo diventare gli occhi azzurri – mi ha stretto la mano e mi ha indicato come guadagnare l'uscita.
In tutto questo, dopo una strenua quanto vana difesa del mio curriculum vitae, sono riuscita a distruggere la molla della mia penna a scatto a forza di giocarci nervosamente, non credo di aver inalberato nemmeno mezzo sorriso e nell'atto di alzarmi gli ho anche incidentalmente centrato il menisco con un calcio.
Per farla breve: esco da quell'ufficio come un reduce dalla campagna di Russia, mi trascino fino a casa e chiudo per tre giorni qualsiasi tipo di contatto col mondo esterno. Quando riapro la mia casella di posta elettronica, trovo un'ampollosa mail nella quale il Nostro decantava «l'ammirevole aplomb» – cito testuali parole – con cui avevo saputo tener testa alle sue provocazioni e mi proponeva di occuparmi dell'edizione di una serie di pubblicazioni esclusive.
Mezz'ora dopo stavamo già firmando il contratto.
Per dire che alle volte forare qualche gomma non equivale necessariamente a un fallimento.

P. S. = Per quanto riguarda il settimo punto del vademecum della Bbc, se volete essere sicuri di avere ai piedi delle scarpe fighe e comode – binomio non facile da trovare – vi consiglierei di buttare un occhio qui, http://www.barberabiella.com... tanto più che non dovete nemmeno abitare nei pressi di Biella!

venerdì 6 dicembre 2013

NEL MEZZO DEL CAMMIN DI NOSTRA VITA


Ieri sul Corriere della Sera ho letto un articolo nel quale si disquisiva su quello che per molti rappresenta uno spauracchio anagrafico non da poco.
Hai una collezione di cd ma non ne compri uno da anni?
I brani della band che ascoltavi quando andavi alle superiori ora passano sulle stazioni di rock classico?
Tutto quello che ti sembra accaduto un paio di anni fa in realtà risale ad almeno 10-15 anni addietro?
Sei sempre più preoccupato per la tua pensione?
Mtv, canale televisivo con il quale siete cresciuti tu e la tua generazione, adesso parla un linguaggio a te incomprensibile?
I film che al liceo consideravi imperdibili (Friends su di tutti) adesso sono trasmessi in seconda o addirittura in terza serata?
Ma soprattutto: hai sviluppato un'insana passione per il divano e passare una serata steso comodamente in poltrona è diventata un’abitudine a cui si rinuncia con difficoltà?
Se si è risposto affermativamente alle sette domande, secondo il giornalista, significa che si sta per varcare (o si è già varcato) la soglia degli “anta”.
 



Ora, tralasciando il fatto che non vivo l'approssimarsi di tale traguardo con angoscia – forse perché ho ancora un paio d'anni di buono – e credo che ogni età abbia i suoi pro e i suoi contro (ma in genere i primi non sappiamo apprezzarli perché troppo presi a lamentarci dei secondi salvo poi rimpiangerli entrambi ad anni di distanza), rilancio con i miei personalissimi cinque inequivocabili segni del passare del tempo:
hai una casa piena di scale e alla decima volta che affronti la rampa vieni colta dagli stessi sintomi avvertiti da Fantozzi all'attacco del colle del Diavolo durante la coppa Cobram: asfissia, occhi pallati, arresti cardiaci, lingue felpate, aurore boreali, miraggi;
se tiri le tre del mattino gozzovigliando sconsideratamente, il giorno successivo sei in coma vegetativo fino a pomeriggio inoltrato;
si inizia ad essere redarguiti di ripetitività (scena tipo: «Dobbiamo ricordarci di prendere il detersivo per la lavatrice, te l'ho già detto?», varcando la soglia del supermercato; risposta: «È solo la quinta volta, 'more!»);
la tua estetista ti suggerisce di iniziare precauzionalmente ad usare una crema antirughe, primo step di un inevitabile restauro conservativo;
al tuo parrucchiere capita sempre più spesso di farti osservare che con lo shatush si ringiovanisce di cinque, sei anni come niente.
Quarant'anni è un'età terribile. Perché è l'età in cui diventiamo quello che siamo”, sosteneva Charles Péguy.
Pur condividendo la seconda parte dell'affermazione del poeta francese, dissento sulla scelta dell'aggettivo: la terribilità o meno dipende da come ognuno è in grado di giocarsi la partita!

mercoledì 13 novembre 2013

MA CHE BONTA'


Manca ancora più di un mese e già sento parlare di menù natalizio.
Mentre ascolto con grande ammirazione le amiche che già stendono meticolose liste composte da più varianti di antipasti, primi, secondi, contorni e dolci rispondendo con fare sussiegoso al mio sguardo interrogativo con un «Bisogna portarsi avanti col lavoro» che non ammette repliche (e che a ben vedere suona un po' come un rimprovero alla mia pigrizia), io non posso fare a meno di ripensare a quello che doveva essere il piatto forte di un veglione natalizio e che invece si è rivelata un'esperienza gastronomica ai limiti del pulp: una specie di arrosto ricoperto di cioccolato, cosparso di canditi caramellati.
Immangiabile.
Restando in tema di stranezze alimentari, come dimenticare il risotto con zucchine e banane (pregasi astenersi da commenti ironici sul suddetto binomio ortaggio + frutto...) consumato dal Rose, le patatine intinte nella Nutella che la mia amica Manu ed io ci scofanavamo nel periodo universitario a Milano davanti alla tv quando si era in piena sindrome premestruale o le escargot à la Bourguignonne, chiaramente mal lavate e trasudanti burro da far schizzare il colesterolo a vette impensate solo a guardarle, mangiate a Le Havre che mi hanno lasciato in bocca un fastidioso gusto di salsedine, come se mi fossi bevuta mezzo stretto della Manica?
E come passare sotto silenzio la degustazione di quella lingua con bagnetto verde, assaggiata giusto per accondiscendere – ruffiana! – un potenziale committente alle prese con discutibili prove eno-gastronomiche, a causa della quale, nonostante ripetute abluzioni del cavo oro-faringeo, sono andata avanti a puzzare di aglio per settimane? Mi sono sentita molto la Phoebe di “Friends” quando incontra per la prima volta i genitori del neo fidanzato Mike e per fare buona impressione cerca di ingurgitare con enorme disgusto piatti a base di carne nonostante sia vegetariana.

L'imbarazzo della scelta per i cultori del genere...

Ma c'è anche chi, sperimentando la cucina straniera, si imbatte in vere prelibatezze. Prendete mio cognato, ad esempio, che se ne va per qualche giorno a Bath, cittadina turistica del Somerset, nel verdeggiante sud-ovest dell'Inghilterra, famosa per le sue atmosfere ottocentesche e per le sue terme, entra per caso nel “Bath Sausage Shop” e gli si apre un mondo: una miriade di salsicciotti lunghi decine di centimetri, dal ripieno a base di maiale con l'aggiunta di pepe, noce moscata o uova per quelli definiti tradizionali, oppure mango, cocco, pancetta affumicata per quelli “speciali”. Se capitate da quelle parti, ricordatevi: «La migliore è la Champion Aldrige, cioè pork and egg!», assicura l'esperto.
In fatto di stranezze culinarie poi anche le star offrono esempi eclatanti. I Depeche Mode prima di esibirsi necessitano di 12 cosce di pollo e 10 panini al tonno (5 con il pane bianco e 5 con quello nero), il tutto disposto su un letto di lattuga mentre Christina Aguilera non sale sul palco se prima non beve Nesquik e Coca Cola, nella versione originale e non Light.
Angelina Jolie, invece, durante un viaggio in Cambogia con la prole, ha avuto la bella idea di comprare dei grilli, cibo tipico della zona, al piccolo Maddox che ne è diventato ghiottissimo.
 
Ghiotti di cioccolato?



Compleanno in vista?
Ora... dopo esservi scofanati simili prelibatezze non vi restano che due vie: ricorrere all'irrigazione del colon utilizzando un tubo per “pulire” l'intestino, come si dice faccia annualmente il bel Ben Affleck oppure, se abitate vicino ad Affi o siete di passaggio da quelle parti, rifarvi la bocca alla Cremerie dell'insuperabile Sabrina, gustando il suo delizioso gelato o l'invitante pralineria e le sue coreografiche (e buonissime) torte di semifreddo lavorate all'americana con la pasta di zucchero...

Vi serve una wedding cake?

La risposta, la trovate in via Pascoli 21, ad Affi!


P.S. = Special thanks to Davide “Carogna” La Piana per l'approfondimento culinario sulle salsicce di Bath!

lunedì 14 ottobre 2013

O TEMPORA, O MORES!


«Che tempi... Che costumi!» esclamava sconsolato Cicerone deplorando il dilagare di mode che con le auree virtù antiche non avevano più nulla a che spartire. Viene da chiedersi con chissà quali interiezioni il celebre oratore romano bollerebbe le stravaganze del XXI secolo...
Forse a forza di vivere in simbiosi con le mie pulciose pergamene mi si è incartapecorito lo spirito ed inizio ad accusare i primi sintomi di cainotofobia, cioè la fobia del nuovo, considerata dagli esperti il vero spauracchio dei trenta / quarantenni di oggi, sempre più timorosi di non riuscire a stare al passo con le innovazioni sfornate a tutto andare dalla società di oggi. E va bene che in epoca di crisi bisogna avere spirito di iniziativa e sapersi inventare competenze e professioni che soddisfino le esigenze di questo millennio, ma alcune trovate non si possono sentire.
Un esempio?
Per ridurre il tasso di disoccupazione e contemporaneamente aumentare l'affluenza di donatori alle banche del seme, in Cina hanno pensato di agevolare la triste pratica degli onanisti dotando le cliniche per l'inseminazione assistita di donne che, armate di guanti, camice, cuffietta (e ampollina in cui raccogliere lo sperma nella mano libera), si occupano della masturbazione maschile per uno stipendio mensile che si aggira sui 1200 Euro.
Requisiti richiesti? Poca verecondia, un discreto pelo sullo stomaco e, ça va sans dire, un'ottima manualità.
Sono lontani i tempi in cui l'infermierina tipo era impersonificata dalla lentigginosa e sfigata Candy della casa di Pony!


Ma c'è poco da gridare allo scandalo. Se si pensa infatti che – è notizia di questi giorni – il regista Lars von Trier, come terza ed ultima parte della sua “trilogia della depressione” (dopo “Antichrist” e “Melancholia”), ha provocatoriamente annunciato l'uscita del suo nuovo e controverso film “Nymphomaniac” (la storia del viaggio erotico di una donna, dalla sua nascita fino all'età di cinquant'anni) il 25 di dicembre (uscita anticipata in questi giorni da esemplificative locandine nelle quali le star protagoniste della pellicola – da Uma Thurman a Willem Dafoe passando per Charlotte Gainsboug – simulano il culmine dell'eccitazione sessuale), è proprio vero che non c'è più religione!
Il drammaturgo britannico Douglas Jerrolds sosteneva che «anche i mestieri più brutti hanno i loro lati piacevoli: per esempio, se fossi un becchino o persino un boia, ci sono alcune persone per le quali lavorerei con vero entusiasmo» (Wit and Opinions of D.J.).
Non possono dargli torto, dalla loro ottica, le innovative donzelle del Sol Levante che, loro malgrado, esemplificano magistralmente la massima del saggio poeta Manilio: «Labor est etiam ipsa voluptas».
Eh già: anche il piacere può essere una fatica!

martedì 1 ottobre 2013

DATEMI UN MARTELLO


Io la penso così: se ho un tubo in casa che mi perde – per fare un esempio – prendo il telefono e chiamo un idraulico. Mi fido della sua competenza, lo lascio lavorare, lui mi aggiusta il danno, io lo pago e tanti saluti.
Questo nel migliore dei mondi possibili, per dirla alla Leibniz.
Ma non funziona sempre così.
Nel mio ambiente lavorativo, ad esempio, capita sempre più spesso che il primo committente di turno – che di professione NON fa il filologo né l'archivista né il ricercatore – si senta autorizzato a smettere i panni del committente (parola che, giusto per la cronaca, deriva dal latino “committere”, cioè “affidare” e quindi indica “colui che incarica qualcuno di eseguire una data prestazione”) per improvvisarsi dotto uomo di cultura, prendersi la libertà di “sfrucugliare” tra le mie carte e inserire “ad minchiam” sue chiose – del tutto fuori luogo e per giunta in un italiano imbarazzante – giusto per farmi perdere tempo, energia e pazienza a tre mesi dalla consegna di un tomazzo di 500 pagine.
Ora: già io mi benzino facilmente di mio, se poi vengo fastidiosamente punzecchiata, trascendo. E hai voglia contare fino a 100, andare di tilia tomentosa endovena o implorare la Madonna d'Oropa che mi metta una mano sulla testa, o meglio sulla bocca!
Io non sarò Leonardo da Vinci né Michelangelo, ma pure te sei ben lontano dall'essere un Ludovico il Moro o un papa Giulio II. Per dire!
Io mi permetto di andare dal signor idraulico di cui sopra a insegnargli come riparare il tubo? No. E allora perché tu, caro committente che mi affidi gli incarichi (e per inciso, ti dimentichi sempre di pagarmi nelle scadenze prefissate) non fai altrettanto? Altrimenti fattele tu le ricerche e scrivitelo da solo il libro così ci facciamo tutti due risate a leggerlo!
Ma l'ira funesta non colpisce solo me... ho scoperto di essere in buona compagnia.
Due episodi letti questa mattina sul Corriere mi hanno portato a pensare infatti che la famiglia è bella numerosa.
Il primo riguarda José Mourinho che alla domanda di un giornalista circa il motivo dell'esclusione di Kevin De Bruyne, irritatissimo si alza e se ne va non prima di aver fatto presente agli astanti che a lui spetta decidere chi convocare e chi no e continuare a chiedergli conto degli assenti da parte della stampa sportiva è un'abitudine senza senso.

The Special One in uno scatto di disappunto

Il secondo riguarda Marina Shifrin, che ha deciso di lasciare il suo alienante posto di lavoro con una danza-denuncia che sta facendo il giro del web: stanca di trascorrere notti insonne davanti a un pc monitorando il traffico su Internet e di non avere più una vita sociale decorosa per un capo taiwanese che predilige la quantità alla qualità, la ragazza americana balla sulle note di “Gone” di Kanye West tra le scrivanie vuote del suo ufficio alle 4.30 di mattino inaugurando una nuova modalità di licenziamento. Pare che il suo datore di lavoro non l'abbia presa benissimo e che sia passato al contrattacco definendola una scontrosa.
A questo proposito, a spezzare una lancia a favore delle persone dotate di un carattere non proprio malleabile ci ha pensato uno studio dello scorso aprile condotto dalla prestigiosa università americana di Harvard – a fronte di un'accurata indagine condotta sulle scimmie bonobo, considerate quelle più vicine all’uomo per comportamento e struttura sociale – secondo cui chi è un po' “Brontolo” inside è più intelligente, sveglio e portato alla leadership dei colleghi tolleranti, positivi e sempre sorridenti poiché dotato di un cervello con capacità più evolute.
E se anche la scienza ci legittima ad essere un cicinìn insopportabili, prevedo tempi duri in arrivo per chi mi trifolerà ancora la pazienza!

... D'altronde se al mio compleanno di cinque anni fa qualcuno mi ha regalato questa maglietta
un motivo dovrà pur esserci!

Se non bastassero poi le argomentazioni di cui sopra, come non citare un memorabile aneddoto legato a un politico dell'Ottocento, tale Alfredo Frassati, del quale qualche anno fa mi è stata commissionata una biografia, e che offre un'altra interessante lettura del problema?
Di lui, all'indomani della morte, un collega aveva detto: «In un Paese come il nostro in cui scarseggiano gli uomini di polso, lui aveva un carattere e per questo si diceva che fosse pessimo».
Ecco!

lunedì 16 settembre 2013

Back to 80's... METTI UNA DOMENICA MATTINA A RADIO 24


«Trey? Gioia di papà... vieni in giardino che giochiamo un po' all'aria aperta», propone entusiasta il signor Blair.
«Non ci penso neanche, daddy!» ribatte deciso il piccoletto, alle prese col suo tablet.
Gelo.
Deve essere andata più o meno così a casa McMillan qualche mese fa. Ma il tenace capofamiglia non si è dato per vinto e a fronte del rifiuto ha elaborato questa anticonformistica pensata: mettere al bando gli strumenti tecnologici nati negli ultimi vent'anni e tornare a vivere per 365 giorni come nel 1986 (anno che, oltre ad essere quello di nascita di Blair e della moglie Morgan, fu anche ricco di eventi passati alla storia: a gennaio lo Space Shuttle esplose durante il decollo, ad aprile la centrale di Chernobyl diffuse in tutta Europa la sua nube radioattiva, a giugno ai Mondiali in Messico, nella sfida ai quarti tra Argentina e Inghilterra, Maradona segnò le sue due reti più celebri, una etichettata come Mano de Dios e l'altra eletta gol del secolo, mentre ad agosto i Queen si esibirono insieme per l’ultima volta).

Un raggiante Blair con il suo poco vistoso stereo rosa confetto

E così le mensole si riempiono di nuovo di libri, in auto il navigatore viene sostituito dalle cartine cartacee e il maneggevole lettore mp3 è stato accantonato per far posto all'ingombrante stereo con cassette come ha dichiarato, orgogliosa della decisione presa, la famiglia canadese al “Toronto Sun”. Ma anche il look e le mode tricologiche hanno fatto un salto nel passato: se lui sfoggia con orgoglio una capigliatura a metà strada tra Joey Tempest degli Europe e Ivano Michetti dei Cugini di Campagna nonché jeans ad altezza quasi ascellare e con risvolto stile “acqua in casa”, la sua dolce metà indossa maxipull e accessori dai colori elettrici, effetto evidenziatore ambulante (se poi riesumerà anche le agghiaccianti spalline imbottite merita un premio per il coraggio).
Da questa notizia di cronaca, complice la informazioni trovate in rete sul libro “Correva l'anno della Girella”, scritto con Giampiero “Canna” Canneddu, nasce la partecipazione di ieri a “Il riposo del guerriero”, l'interessante programma condotto da Stefano Gallarini su Radio 24, due ore volate a colpi di flashback e di piacevoli zapping con la memoria.

Stefano, Giampiero, Elisabetta
E da buoni paladini degli anni Ottanta, stavamo al tema della puntata come le lenticchie con il cotechino nel menù di capodanno.
Sono entrata in quel decennio che ero una bambina e ne sono uscita adolescente, ritornavo a casa da scuola sulle note della musichetta de “Il pranzo è servito”, passavo i miei pomeriggi in compagnia di un cane rosa di nome Uan, cantavo con Cristina D’Avena, ballavo sulle note di “Disco bambina” di Heather Parisi, a cinque anni sapevo già chi fosse Apollo grazie a sua figlia Pollon, ho imparato a suonare il flauto solo perché avrei voluto unirmi alla compagnia di Vitali per dare una mano a quel disgraziato di Remì e nel 1984 avrei fatto carte false per andare a Ibiza, affascinata dal manifesto di promozione turistica firmato da Sandy Marton.
Mi sono chiesta spesso cosa fosse di preciso il “colpo della pietà di Hokuto” o un “razzo missile” e se i Righeira fossero davvero fratelli, per risolvere lo snervante cubo di Rubik ricorrevo al bieco trucco si staccare alla vigliacca le etichette colorate, odiavo l'Allegro chirurgo e a lungo, ma infruttuosamente, mi sono allenata per elaborare una valida risposta al servizio “a foglia cadente” di Mimì Ayuhara, l'acrobatica Francesca Piccinini del Sol Levante, capace di tirare randellate tali da deformare i palloni che diventavano delle specie di missili terra-aria, dopo aver allegramente piroettato dieci minuti in aria in nome di chissà quale misteriosa legge fisica.
Ho segretamente sperato di non seguire in amore le stesse orme di quella sfigata di Candy Candy, Veronica Castro è stata la mia eroina, ho quasi fuso la cassetta del Boss a forza di ascoltare Born in the Usa nel walkman, sognavo di farmi multare da un agente figo come Ponch, di essere confessata da un prete charmant come padre Ralph e di incontrare pure io in una lavanderia a gettoni un bel figliuolo come Nick Kamen che, pronti via, se ne resti con nonchalance in boxer in attesa che i suoi jeans siano pronti come ha fatto il pupillo di Madonna in quei celebri 30 secondi di spot (al che, non è per fare a tutti i costi i maligni, ma viene spontaneo chiedersi se fossero proprio le potenzialità canore ad aver colpito la signora Ciccone).
Appartengo a quella generazione che a forza di “celo, celo, manca” riusciva, a fatica, a completare un album delle figu, che spacciava le gomme profumate, che sa completare la frase «Luisa arriva presto, finisce presto e di solito non pulisce il...», che finite le vacanze si fiondava nei negozi di fotografia a portare i rullini di pellicola (e doveva aspettare cinque giorni prima di rivedere i ricordi del mare) e che ogni volta che si imbarca su un traghetto non riesce a trattenersi dall'intonare “Mare, profumo di mareee!”.
E per dirla tutta, vorrei anche io una DeLorean che mi permettesse di tornare per un po' in quel decennio, con tutti i suoi aspetti positivi e tutte le sue magagne. Viaggiavamo in macchina senza air bag, senza cinture né seggiolini speciali, i medicinali non avevano chiusure a prova di bambino, correvamo il rischio scoliosi andando a scuola con zaini (privi di rotelle e di spalline imbottite) stracarichi di libri e quaderni e si girovagava in bici senza casco ma quanto era educativa una sana sbucciatura al ginocchio!
Ho assunto litri di Billy, mi sono scofanata confezioni su confezioni di merendine del Mulino Bianco solo per fare incetta di sorprese da barattare, ho masticato (e spesso inavvertitamente ingoiato) le Big Babol eppure sono ancora viva!
Non esistevano i cellulari né gli sms, siamo cresciuti senza Playstation, Nintendo Ds, dolby surround e satellite, avevamo a nostra disposizione una manciata scarsa di canali tv, un solo telefono (e per giunta fisso e “a rotella”) e quando abbiamo messo piede per la prima volta a Gardaland il “Magic Mountain” e il “Colorado Boat” ci sembravano attrazioni fantascientifiche (e un po’ ci facevano pure paura) ma per divertirci bastavano un sacchetto di biglie di plastica (quelle con dentro le foto dei campioni di ciclismo come Moser, Saronni, LeMond, Gimondi, Bitossi), un foglio di carta e una matita per indovinare la parola segreta a “l’impiccato” senza schiattare sul patibolo, uno spazio dove nascondere un oggetto e ritrovarlo solo grazie a tre indicazioni – “acqua”, se si era completamente fuori strada, “fuochino”, se ci si stava avvicinando, “fuoco” se si era a un passo – o un fazzoletto che serviva da bandierina. E se perdevi, c’era la penitenza. Ovvero “dire, fare, baciare, lettera o testamento”.
E se qualcuno storce un po' il naso a pensare una seriosa filologa capottarsi senza ritegno dal ridere vedendo il bidello Mario (l'indimenticabile Massimo Troisi) ed il maestro elementare Saverio (Roberto Benigni), catapultati per un buffo scherzo del destino a Frittole nel 1492, alle prese con un doganiere che, entrato in una sorta di looping, continua a chiedere loro, noncurante delle loro risposte, «Ehi! Chi siete? Cosa fate? Cosa portate? Sì ma, quanti siete? Un fiorino!» o il goffo Pasquale Baudaffi (aka Lino Banfi) prima nelle vesti di cameriere, alle dipendenze di un rude titolare poco tollerante degli errori, ed esasperato da originali ordinazioni (ora un caffè con un po’ di humor, ora con un goccio d'utopia), poi apprendista in una azienda elettronica, chiamato a svolgere mansioni alienanti (come zufolare nell’avvisatore acustico per avviare il circuito Y di rigore) con un direttore schizofrenico e pieno di tic, tale dottor Tomas, è perché non ha mai visto “Non ci resta che piangere” e “Vieni avanti cretino”, due perle della cinematografia anni Ottanta.
Ben vengano dunque revival come quello di ieri, per soffermarci a chiederci, anche noi come Raf, cosa resterà degli anni Ottanta e per provare quella stessa sensazione di quando ci imbattiamo, in fase di trasloco o di pulizie di primavera, in una scatola malconcia e che sa un po' di muffa, tenuta insieme con lo scotch e con dentro le istruzioni ingiallite. Proprio non sappiamo resistere: estraiamo quel cimelio della nostra infanzia e iniziamo a giocare (e ricordatevi: se ha gli occhiali, la pelata e la faccia un po’ da culo, o è Tom o è Sam!).


 A Stefano Gallarini e a Giorgio De Luca quindi, un grazie di cuore per l'invito e per l'accoglienza!