mercoledì 26 settembre 2012

FACCIAMO (LE) CORNA

Qualche post fa abbiamo parlato di vari comportamenti ossessivo – compulsivi che ci portano a compiere, più o meno involontariamente, una serie di azioni che, agli occhi degli allibiti astanti, possono sembrare sciocche e senza senso.
Accanto a quelli, ci sono poi dei piccoli rituali che guai a toccarceli, parlo di quelle irrazionali fissazioni, quelle manie scaramantiche che ti aiutano a dominare l'ansia e che forse rasentano il patologico ma diciamoci la verità: sono un po' come l'oroscopo. Nessuno ci crede, ma intanto, poco o tanto, uno ne rimane suggestionato.

...FACENDO CORNA!
I bambini, si sa, sono delle spugne e io fin dai quattro anni ero particolarmente incuriosita da certi discorsi che la nonna Caterina – detta nonna Cata – sviluppava con la figlia, cioè mother Angel. Se alla Cata – che proveniva da un paesino sperduto della Locride evidentemente poco toccato dal progresso illuminista – capitava di sognare uova o, peggio ancora, denti e uva ci sarebbero state presto liti o morti in famiglia, se le batteva in maniera incontrollata “l'occhiu malu” la sventura era dietro l'angolo (notizia che veniva anticipata da un allarmistico: «Focu meu, figghia, faciti attenzioni: mi battiu l'occhiu malu!»), se invece a battere era “l'occhio bonu” erano in arrivo liete novelle ma il suddetto occhio non batteva mai ed anche qui, capire quale fosse quello “malu” e quello “bonu” era un'impresa perché cambiavano sempre, a volte il destro, a volte il sinistro... a seconda dell'estro del momento.
E a proposito di occhi, bisognava tenerli bene aperti in cucina: guai se ti cadeva la bottiglia dell'olio o il barattolo del sale. Tale disattenzione era foriera di un nutrito elenco di inenarrabili sfighe.
Quindi, tutto sommato è ancora andata bene a Mr. Rose se in questo mare magnum di influenze negative, menagrami e malocchi, io sono rimasta fedelmente devota “solo” alla superstizione del gatto nero. Il problema è che noi abitiamo in una strada poco frequentata e se ti attraversa il quadrupede, la Cata insegna che si debba attendere il sopraggiungere di una macchina in senso contrario. Aspetta cinque, aspetta dieci, aspetta quindici minuti, quella sera il buon Rose, esasperato, ha raggiunto casa a piedi. Io ci sono arrivata in auto circa un'ora e venti dopo.
Da una rapida indagine personale, comunque, ho arguito che queste attenzioni fobiche colpiscono su per giù tutti, anche persone insospettabili. Tipo la Cri. «Uh, che bell'anello hai! Posso provarlo?». Me lo tolgo, glielo porgo. E la vedo con nonchalance cercare di farsi scudo con una mano e soffiare sul mio anello che teneva con l'altra (il fine ultimo, mi è stato spiegato, è quello di spazzare via le negatività che l'anello imprigiona). Penso di aver riso mezz'ora.
Ho riso un po' meno invece nell'estate del 1998 quando vengo ricoverata d'urgenza. Calabria. Vacanza al mare con mamma e papà, tutto procede bene quando un bel giorno avverto un leggero fastidio a un occhio, niente di che. Vado in farmacia per acquistare un blando collirio quando l'ometto al di là del bancone (che, giusto per inciso, vantava una laurea in oftalmologia, mica cotiche!) mi dice: «Sei bella arrossata. Guarda ti do questo, dieci gocce in entrambi gli occhi ogni ora e domani sei come nuova».
Dopo tre ore papà Walter mi stava portando a velocità folle al primo Pronto Soccorso in preda a dolori inauditi: forse il dottorino dei miei stivali ignorava che il suo collirio contenesse cortisone, cortisone che mi ha ustionato le cornee.
Quella è stata l'unica occasione, nella mia pluridecennale esperienza di donna tatuata, in cui ho rimpianto di averne uno. Già... perché i medici (i medici!!!) hanno visto il disegno sul mio polso, hanno osservato la condizione penosa dei miei occhi e mi hanno bollata come indemoniata (e siamo nel 1998). Infatti quell'estate andava di moda, nella zona, trastullarsi guardando il sole: tale pratica causava un'ustione che consentiva però di entrare in una specie di setta, non prima di venire tatuati, segno distintivo di quegli intelligenti adepti (ma voi avete presente quanto male fa avere un'ustione agli occhi?).
Quando si dice trovarsi al posto giusto nel momento giusto!
E trattando questa tematica, non posso non raccontarvi un aneddoto davvero singolare (e che spiega anche il perché dell'articolo tra parentesi nel titolo al post). Frequentavo, tempo fa, una ragazza (tranquilla cara... non dirò il tuo nome!) che aveva una strana fissazione: per scongiurare influenze negative di vario tipo, lei... tradiva! Il ragionamento era pressapoco questo: tutte le volte che era stata fedele, presto o tardi aveva sempre sorpreso il suo partner con un'altra e quindi lei aveva optato per le “corna preventive”, trasformandosi in una fedifraga seriale.
Mi risulta comunque che il povero Sbàm (ok, lo confesso... sono stata io a ribattezzarlo così, ma mi sembrava una parola onomatopeica sufficientemente adatta a rendere il suono che le sue invisibili ma enormi corna producevano appena entrava in una stanza) deve averla lasciata non appena gli è giunta all'orecchio la genesi di quel soprannome.

L'INSEPARABILE CORNINO ROSSO!
Io, senza saper né leggere né scrivere, il cornino rosso (cadeaux da Napoli della mia devota suocera... perché voi lo sapete, vero, che per avere un valore apotropaico il suddetto cornino ve lo dovete far regalare e non acquistarlo voi direttamente?) me lo porto sempre dietro.
D'altronde «la iella colpisce come una punizione di Zico: arriva ad effetto all'improvviso!», lo diceva anche il mitico Lino Banfi in “Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio” (e mi faccio i complimenti da sola per questa dotta citazione!).

lunedì 17 settembre 2012

SONO LE SETTE E TU DEVI ANDARE A SCUOLA

Ma se sul Cassonetto via Facebook la nostra accoppiata si sta rivelando vincente, perché non provare anche qui sul blog a fare un post a quattro mani? Ecco a voi, come primo esperimento, la gestione del ritardo visto da lui e visto da lei, ovvero visto da Teto e visto dalla Betta. Enjoy yourself!

Il primo giorno di scuola è una grande emozione e questo è pacifico. Certo. Quando si tratta del primo figlio.
Per quelli che, come me, di figli ne hanno tre, invece, si tratta, come direbbe il commissario Montalbano, di un grande scassamento di cabasisi (e sarebbe carino, a questo punto avere delucidazioni da Matusa55 sulla versione del termine in lingua veneta).
Si comincia con l'ansia da performance del mattino: d'ora in poi ogni giorno sarà una sfida per accorciare progressivamente il più possibile il tempo compreso tra la sveglia e l'uscita in macchina. Roba da essere già completamente stressati alle 8 e 10 del mattino...
Quando poi viaggi sul filo dei minuti e, come me, devi attraversare tutta Biella, quello che a un milanese medio sembrerebbe un traffico scorrevolissimo, a te invece appare come un ingorgo in tangenziale nell'ora di punta ed è sufficiente un blocco momentaneo causato dal camion della raccolta della spazzatura, per infondere nell'istinto primordiale del genitore-autista istinti da killer seriale.

Primo giorno di scuola.... 12 settembre 2012
A volte capita la sciagura: arrivi in ritardo. La porta è chiusa e devi suonare.
I bambini, che ti hanno fatto perdere mezz'ora per mangiare a forza 30 grammi di cereali, sono innocenti per definizione.
Per il bidello l'unica colpevole è la tua indolenza.
Viene ad aprirti, dopo aver prolungato ingiustamente il tuo ritardo evitando accuratamente di guardarti mentre ti sbracciavi dietro la porta a vetri. Poi arriva, lentissimo, in ciabatte (ma perché i bidelli lavorano in ciabatte? In casa loro stanno, per caso, con le scarpe?) e ti fissa, sguardo torvo, con disprezzo.
Non c'è nemmeno il labiale, ma tu senti distintamente: «Che razza di padre inefficiente e degenerato sei, a che cavolo di ora ti sei alzato, se non riesci nemmeno a portare in orario i tuoi figli a scuola?».
Il suo giudizio negativo è confermato dal secondo ritardo in due giorni e qui, fiero giustiziere, si appropinqua con un solenne registro, nel quale ti chiede di compilare la giustificazione comprensiva di motivazione.
Oddio, ora cosa scrivo?
La trovo una cosa così idiota, giustificarmi per dieci minuti di ritardo, eppure a chiedermelo è lo Stato...panico! Scrivo “motivi di famiglia”? Il sistema cerca di mortificarmi e mi vessa con le sue pastoie burocratiche?
Respiro.
Devo reagire!
Fieramente ed anarchicamente metto nella motivazione del ritardo la seguente voce “disorganizzazione familiare”. Mi mandino l'assistente sociale, se hanno il coraggio. Il bidello legge e scuote la testa. La stessa cosa farà qualche mese dopo, leggendo la motivazione “ritardo motivato da una serie di piccole concause”.
Quest'anno ho un asso nella manica: la piccola Agata (sei mesi).
Se dovrò compilare ancora una giustificazione, scriverò “rigurgito della bambina sulla camicia appena stirata”.
Fuck the system!
Teto


Primo giorno di scuola... 16 settembre 1981
Quando sento associare la parola “scuola” a “ritardo”, in un nanosecondo a me viene in mente solo una cosa: una Fiat 128 bianca lanciata a folle velocità che puntualmente, ogni santo giorno, percorreva i dieci chilometri che separavano la casa della Betta's family dalla scuola media (quella elementare non fa testo... dove finiva il mio giardino iniziava quello della scuola quindi non c'era alunno più puntuale di me) senza nemmeno sfiorare il pedale del freno, schivando all'ultimo camion della nettezza urbana che venivano nell'altro senso di marcia e con una donna al volante, imperturbabile (mother Angel), che in quei cinque minuti (ma potevano anche essere cinque secondi o cinque ore... appena posavo le mie dorate chiappe su quel sedile, perdevo all'istante la concezione spazio – temporale) ti snocciolava una erudita predica sull'importanza della puntualità (lei che era, è e sempre sarà una ritardataria cronica... d'altronde da qualcuno dovrò pur aver preso).
Strada di montagna, quindi tutta curve.
Roba che se non eri allenata (ma per fortuna con gli anni sono diventata una navigata navigatrice, stile Miki Biasion – Tiziano Siviero) non arrivavi al primo chilometro che, a scelta, o eri già schiattata di infarto o avevi vomitato anche il panettone degustato cinque anni prima.
Com'è, come non è... dopo essere riuscita a dire tutte le preghiere di mia conoscenza e aver (proditoriamente) promesso al mio angelo custode che dal giorno successivo avrei puntato la sveglia un'ora prima, arrivavo a scuola scendendo al volo dall'auto ancora in corsa.
E se la campanella era già suonata, erano tutte fave mie.
Perché mica serviva la giustificazione del genitore.
Esaurita la scusa del “La mamma ha forato una ruota e non sapeva cambiarla” o “La mamma non ha sentito la sveglia” (chissà cosa avranno pensato i professori del mio ignaro capro espiatorio!), sono passata al “Mi sono ustionata la lingua bevendo il tè bollente”, “La transumanza delle mucche ha bloccato la strada”, “Il gatto mi ha mangiato tutte le stringhe delle mie scarpe....mica potevo venire in ciabatte”, “Siamo rimaste bloccate nell'ascensore” (pur non avendo in casa né gatti né ascensori), “Ci si sono fermati tutti gli orologi... strano fenomeno, eh?” (ero una egregia pallista fin da ragazzina) fino ad arrivare al jolly “C'è stata una tempesta di neve” (d'altronde ero quella che abitava su per i monti, poteva starci come scusa... anche se va detto che in primavera zoppicava un po').
La pantomima, comunque, finiva a tarallucci e vino, dopo una pseudo burbera reprimenda del prof. della prima ora (e,a dirla tutta, penso che quando ho smesso di collezionare ritardi, un po' il corpo docenti si sia dispiaciuto se un bel giorno mother Angel si è sentita dire dalla professoressa di italiano: «Guardi Signora, sua figlia da grande farà la scrittrice. O la comica. E lo si evince chiaramente non solo dallo stile dei suoi temi ma soprattutto da quell'aria innata di buffa teatralità con cui entra in classe al mattino»).
Buffa e teatrale a dodici anni... è già tutto un programma!
Sì... perché, a voler raccontare le cose come stavano, se proprio mi andava male il colpo, sapevo all'occorrenza puntare su un tono accorato e uno sguardo lacrimoso che di sicuro mi aiutava ad ottenere l'effetto desiderato (anzi, ancora un po' ed era il prof. a scusarsi per avermi redarguito per il ritardo). Insomma Mario Merola travestito da Calimero piccolo e nero.
Povera mother Angel! Credo che ogni volta che riusciva a depositarmi a scuola sana e salva, poi dovesse impiegare un quarto d'ora buono per tornare presente a se stessa, dopo quelle scapicollate mattutine da ritiro della patente!
E già lo so: dato che – come dico sempre io – la pera non cade mai lontano dall'albero, sono sicura che io farò la stessa cosa coi miei, di figli.
La Betta

PiEsse =...morale della favola, gente, rivolgetevi pure a me per le giustificazioni ai vostri pargoli (il servizio non è a pagamento).

martedì 11 settembre 2012

THAT'S WHAT FRIENDS ARE FOR

Il 6 settembre del 1975 era una splendida giornata di sole, si sarebbe detto più di uno scampolo di estate che un assaggio di autunno. Neanche una nuvola all’orizzonte...ma verso le sette e mezzo di sera un gran nubifragio – stando ai racconti dei presenti al lieto evento – si è abbattuto sul Biellese, black out generale nella clinica dove mother Angel aveva deciso di farmi venire alla luce, un gran corri corri attorno alla partoriente sopraggiunta proprio in quel fortunato frangente. Io sono nata alle sette e quarantacinque. Qualcosa vorrà pur dire.
Da bambina infatti ero un piccolo uragano. A pettinare le bambole e alla produzione di dolciumi poco commestibili e dall’odore di frenata di camion con il “Dolce Forno” (che all’epoca andava per la maggiore tra le mie coetanee) ho sempre preferito giochi più mascolini. Come ad esempio improvvisare gare nel parco della scuola elementare del paese su pseudo macchinine formate da pezzi di legno assestati alla meno peggio su pattini a quattro ruote (e poco importava se il prezzo da pagare era sverniciarsi ginocchia, gomiti ma soprattutto la faccia sul pietrisco... vuoi mettere l'orgoglio di sfoggiare cicatrici – una delle quali peraltro sull'occhio sinistro, a imperitura memoria delle mie eroiche gesta – prestigiose quanto medaglie di guerra!).
Morale: anche crescendo, sono sempre stata un maschiaccio e ho continuato a fare gran parte delle cose che facevano i ragazzi tipo impennare col motorino, giocare a calcio, tirare i leva, andare allo stadio (no, tranquilli: alle gare di rutti mi sono fermata prima).
Era quindi abbastanza scontato che il mio super amico (dai 10 ai 25 anni) fosse di sesso maschile: Alberto, anzi l'Albertino (con articolo e diminutivo compresi nel prezzo).
Lo difendevo dagli agguati dei compagni di classe (come si può intuire dal nomignolo, non si distingueva per prestanza fisica) che approfittavano del suo fisico gracilino per combinargliene d'ogni, facevamo i compiti insieme, guardavamo i cartoni e poi giocavamo ad emulare la Stella della Senna e il Tulipano Nero... insomma, eravamo inseparabili ma poi arriva una certa età in cui, complici imprevedibili tempeste ormonali, l'amicizia inizia a zoppicare da una delle due parti e all'Albertino il ruolo di confidente (soprattutto se le confidenze ruotavano attorno a strambi ragazzi dietro ai quali io sbavavo senza ritegno) inizia a stare stretto.
Dall'esternazione di quel suo malessere alla fine della nostra frequentazione il passo fu breve, brevissimo.
Avevo cominciato a figurarmi un amico immaginario con cui parlare, quando un bel giorno nel condominio dove vivevano i miei genitori si trasferisce Gloria... avete presente quella tessera del puzzle che proprio mancava per completare il tutto? Ecco: lei.


Ora potrei citare poeti, scrittori, cantanti e via dicendo che sull'amicizia hanno scritto e detto verità indiscutibili o considerazioni strappalacrime ma, lo sapete, sono allergica ai luoghi comuni e alle frasone ad effetto.
Quindi non ricorro a citazioni d'autore per spiegarvi perché lei è a tutti gli effetti la mia super amica. Ascolta i miei sfoghi cercando di riportarmi faticosamente alla ragione e senza mai emettere un giudizio (soprattutto quando le punto addosso due occhi da Bambi se ne ho combinata una delle mie), nei momenti più difficili così come in quelli più felici, è sempre al mio fianco (ora con un pacco di Kleenex ora con una bottiglia di Champagne), quando sono giù di morale sa come risollevarmelo (roba che nemmeno l'intera produzione mondiale di Prozac ci riuscirebbe), amiamo i cani (ai nostri abbiamo addirittura dato la voce e potremmo passare ore a farli parlare ma sshh, non ditelo in giro!), i tatuaggi (chi le teneva la manina quando lei ha fatto il primo, mentre io oramai ero già a quota sei?) e la buona tavola (come cucina lei...nemmeno Vissani), ci divertiamo come due adolescenti a canticchiare “Il Ballo di Simone” (utile soprattutto come elemento di distrazione quando è in macchina con me... purtroppo non gradisce molto la mia guida sportiva!) ma anche quando la pensiamo in modo diametralmente opposto (nella politica e nel calcio, per dire) la divergenza di opinioni non è mai un problema, se mai uno spunto per fingere di litigare.
Già perché di litigare davvero, per motivi seri che magari ci portino a prendere strade differenti non c'è proprio verso!

Altro che Robert Redford coi cavalli!
E aveva proprio ragione!

Voi che ne pensate? Qual'è la cosa più sciocca / divertente / strampalata che avete fatto per amicizia? O con un amico?

lunedì 3 settembre 2012

«PRONTO, ACI?»


Furio: Pronto, parlo col servizio percorribilità strade? Ah buongiorno, senta io sono un socio ACI, numero di tessera 917655 barra UT come Udine Torino. La disturbavo per avere qualche delucidazione dato che mi devo recare a Roma a votare.
Senta, ho sentito dal bollettino dei naviganti che è in arrivo un'area depressionaria di 982 millibar, e questo purtroppo mi è anche confermato da un fastidiosissimo mal di testa che sopraggiunge ogniqualvolta c'è un brusco calo di pressione; d'altro canto, caro amico, questo è il prezzo che dobbiamo pagare noi meteoropatici.
Senta, io Le domandavo questo: secondo Lei, partendo fra circa... 3 minuti e mantenendo una velocità di crociera di circa 80/85 chilometri orari... secondo Lei faccio in tempo a lasciarmi la perturbazione alle spalle diciamo nei pressi di Parma?
Operatore ACI: Ma va a cagher!
Ecco, la scena (tratta da “Bianco, Rosso, Verdone”) sicuramente rende di più se la guardate su you tube, ma anche raccontata così fa il suo effetto.
Ridete? Ma siete sicuri di non essere, in qualche aspetto della vostra vita, anche voi dei piccoli Furio?
Qualche sera fa, riguardavo per la ennesima volta una puntata di Friends, quella nella quale Joey confida a Rachel di essere innamorato di lei e a un certo punto Monica, con non lieve disappunto, si accorge che le centinaia e centinaia di custodie di Chandler non contengono i cd giusti. Come la capisco: una roba del genere a me farebbe venire l'orticaria!
Faccio coming out... ebbene sì, io sono Monica, o meglio una via di mezzo tra Monica e Furio (ma senza finzioni cinematografiche). D'altronde se a cinque anni l'unico sistema che mother Angel aveva trovato per tenermi buona era darmi una spugna per aiutarla nelle faccende domestiche, mica potevo perdere la malsana propensione per l'ordine e la pulizia in età adulta.

Cenerentola - Betta, anno 1979
Malsana. Già: proprio malsana, perché quando diventa una fissazione sono dolori.
Ma la famiglia è grande (e questo in parte mi consola).
D'altronde non c'è scampo: questi comportamenti ossessivo – compulsivi ti portano a compiere, più o meno involontariamente, una serie di azioni illogiche. Tipo, l'ordinatissima Charlize Theron deve controllare che tutto in casa sia super a posto prima di decidersi ad uscire mentre l'attore Leonardo DiCaprio è particolarmente attento a dove mette i piedi (preferisce camminare su superfici lisce ed evita di calpestare le fughe delle mattonelle). La cantante Katy Perry è cinofobica (cioè ama gli animali ma non tollera il loro pelo sui suoi vestiti), Jessica Alba non riesce a prendere sonno se prima non ha staccato tutte le spine degli elettrodomestici, David Beckham ha una tale ossessione per l'ordine alimentare che deve necessariamente avere tre frigoriferi (uno per il cibo, uno per le bibite e uno per le insalate) e che dire di Cameron Diaz che si riduce ad aprire le porte coi gomiti pur di evitare il contatto con sconosciuti batteri toccandole con le mani?
In confronto alle loro manie, io sono ancora messa bene!

Monica Geller... la mia MUSA!
Ma alcuni ricercatori americani del National Institute of Mental Health ci rassicurano: sostengono infatti che alle origini del disturbo ossessivo-compulsivo potrebbe esserci un batterio...
Un batterio?
E allora vai di spugnaaaaa!
Volete sapere l'azimut della mia perversione (CALMIII... stiamo parlando di ordine e pulizia, ve lo ricordo!)? Il mio cassetto della biancheria. Quadripartito. E cioè:
1.) slip normali, dai colori sobri (uso: tutti i giorni);
2.) underwear variopinta e simpatica, dove predominano i colori fluo e pupazzetti, disegni scemi, fumetti... (e dai, non fate quella faccia: tutte restiamo un po' bambine inside!);
3.) i mutandoni (inguardabili ma comodi) della nonna per QUEI giorni (e non scendo in ulteriori dettagli);
4.) e per finire, completini in pizzo per le occasioni speciali (leggi: versione “fatalona”... perché Mr. Rose apprezza i particolari: buongustaio!).
Da sinistra a destra. Tutti disposti secondo un ordine preciso, con il nero in fondo, i colori chiari in cima.
Lo so: rasento il delirio da teatro dell'assurdo!
Non cercate da sinistra a destra...per la foto, ho rivoluzionato il cassetto secondo altri criteri.
Aguzzate l'ingegno (tipo Settimana Enigmistica)!
E – per testimoniare che alle volte creiamo con le nostre stesse mani manie (gioco di parole involontario) che ci si ritorcono contro – vorrei solo dirvi che quando mi hanno ricoverata d'urgenza la scorsa estate, la povera mother Angel, che disconosceva questa mia precisa divisione archivistica di slip, perizomi, reggiseni e push-up, ha pescato a caso dal cassetto, dovendo fare in fretta e furia la valigia da portarmi in ospedale.
Per la precisione ha pescato tutto a destra.
In pratica infermieri e dottori hanno pensato che dietro a questa seria filologa si nascondesse una donna dalla doppia vita!
Ecco, adesso che vi ho spiattellato le mie di fissazioni: tocca a voi... Buttate nel Cassonetto della Betta le vostre, raccontatemi qualche gesto bizzarro che non riuscite a non compiere (quanto meno per non farmi sentire alone in the dark, avete presente il videogioco?).