Vi
ricordate il post sull'esperienza in Senato,
sulla
duplice performance radiofonica a 105 con Ale Cattelan
e
sulle ballerine di Rio che festeggiavano dentro di me?
Bene:
il sambodromo ha riaperto i battenti!
Questa
premessa,
solo
per farvi entrare nel mood giusto del post di oggi.
«Gentile
Autrice, siamo lieti di comunicarLe che secondo la giuria della prima
edizione del concorso nazionale di scrittura umoristica “Una
risata che ci salverà”, il suo racconto risulta fra quelli
ritenuti idonei alla pubblicazione».
EHHHH?
Rileggo
con più attenzione...
In
effetti, quando a giugno mi è arrivata questa mail, mi ci è
voluto un po' di tempo per capire.
Andiamo
con ordine: a febbraio, per caso, mi è capitato di leggere il bando
di questo concorso. E mi sono subito detta: «Ammazza, che
coincidenza!» (in realtà credo di aver usato parole più colorite
ma il concetto, depurato da uscite triviali, era il medesimo).
Proprio
qualche mese prima infatti mi ero lasciata trasportare dall'estro
creativo di un nevoso (e nervoso) pomeriggio, in cui la voglia di
continuare a tradurre le mie polverose pergamene rosicchiate dai topi
toccava i minimi storici, e avevo buttato giù di getto una sorta di
manuale di sopravvivenza ospedaliera – operazione dagli
impensati risvolti catartici – ispirato al mio transito al
Degli Infermi di cui già sapete.
Riprendo
in mano il malloppo, apporto alcuni cambiamenti, mi invento una
storia credibile, autobiografica ma non troppo e via, compilo i
moduli, spedisco il tutto e poi mi impongo di non pensarci più (onde
evitare di passare i mesi successivi a controllare compulsivamente la
mia casella di posta elettronica).
Purtroppo
però a ricordarmelo hanno provveduto altre persone, che io avevo
pensato bene di informare della cosa. Convinta infatti che il mondo
sia popolato da gente prodiga di saggi consigli, ho avuto
l'illuminante idea di chiedere un parere in merito ad alcuni addetti
ai lavori (dei quali per pietà umana tacerò nomi e più
precise indicazioni biografiche).
Primo
errore: MAI rendere partecipi gli altri (tranne pochissimi
e selezionati individui che ritenete validi e onesti consiglieri,
tipo io ne ho solo UNO di cui mi fido ciecamente) dei tuoi
progetti perché troverai sempre qualcuno che per invidia /
frustrazione / gelosia / passatempo (o tutte e quattro le opzioni
insieme) cercherà di smontarti l'entusiasmo.
Infatti
il primo fenomeno (scrittore alquanto famoso nel panorama
editoriale italiano) se ne esce con un «Effettivamente vincere un
premio letterario a livello nazionale è un colpo da novanta ma tu
non ce la farai mai senza un adeguato calcio nel culo» che non
ammetteva repliche.
Non
paga (secondo errore: errare humanum est, perseverare autem
diabolicum... e dire che io il latino dovrei saperlo bene!), ne
consulto un altro, di fenomeno, il quale (addentro nel campo della
letteratura et editoria) mi dà il colpo di grazia con questa
sentenza: «Non scherzare... tu hai sempre scritto libri storici o
per l'università. Come potresti far ridere?».
Certo,
passare da dotti nonché pallosi saggi accademici a scritti di taglio
ironico è un bel salto, ma che ne sai tu della mia vis comica?
Avrei tanto voluto chiedergli.
Terzo
errore: lasciare sempre attivato il cromosoma
“ascolta-tutte-le-minchiate-che-ti-dicono”, altrimenti detto
“il-dono-del-discernimento-è-morto”.
E
dato che per me funziona l'assioma secondo cui più mi dici che una
cosa non riesco a farla, più mi impunto per dimostrarti che non è
così, archivio il vaticinio di Cassandro (!) e passo oltre.
Milano, 28 novembre: con Imma De Nardo (a destra) e Nuccia Malescio, organizzatrici dell'evento |
A
fronte di queste nefaste profezie, vi lascio immaginare con che
gaudio io abbia appreso la notizia di essere stata prescelta, tanto
più che al concorso hanno partecipato davvero un botto di persone da
tutta Italia, anche scrittori affatto alle prime armi (e, giusto a
corollario, vorrei fare presente che nonostante i fuffa-consigli
ricevuti, dal momento dell'invio dell'opera all'annuncio della
selezione, il mio sederino è rimasto intonso da calci, non ho
rivisto il mio capolavoro dopo aver fatto un veloce corso di
scrittura creativa e i componenti della giuria li ho conosciuti solo
ieri sera).
A
differenza di quanti sono soliti usare la rete (facebook, twitter,
blog, varie ed eventuali) solo per vomitare sugli altri le proprie
delusioni o come scaffale per esibire trofei tirati a lucido, qui nel
mio Cassonetto si è più discreti. Ciò non toglie però che non
facendo io Teresa di nome e non essendo nata a Skopje il 26 agosto
1910, né potendo vantare nel mio palmarès un Nobel per la Pace come
Kofi Annan, quando l'occasione giusta mi offre il destro, ne
approfitto per togliermi qualche sassolino dalla scarpa.
Dedicare
questo premio a coloro che hanno fatto di tutto per disincentivarmi,
mi sembrerebbe davvero troppo, forse neanche Gandhi arriverebbe a
tanto... però a voi, iettatori dei miei stivali, voglio
ricordare due cose:
La
prima – che a farsi i cazzi propri si campa cent'anni, quindi
magari, potreste fare anche a meno di elargire pareri / consigli /
pensieri debitamente verniciati di tinte fosche, se non richiesti (e
se volete arrivare a spegnere almeno 80 candeline).
La
seconda – il suggerimento evergreen del mio guru spirituale
Giampiero “Canna” Canneddu che tempo addietro, a fronte di
svariati successi professionali, a tutti questi saccenti menagrami
del mio passato lavorativo mi suggeriva di inviare un serafico
pensiero che suonava pressappoco così: AND NOW, YOU ALL CAN KISS
MY ASS!
Il frontespizio dell'antologia, con i racconti scelti dalla giuria. Del Bucchia Editore |
E
chiudo con un personalissimo pensiero: se siete sicuri delle vostre
capacità e sognate di cimentarvi in un'impresa nella quale però
bookmakers da quattro soldi vi danno perdenti senza reali
motivazioni, ascoltate il vostro istinto, turatevi le orecchie (e
talvolta pure il naso perché a questo mondo c'è proprio tanta gente
di emme-e-erre-di-a ed insoddisfatta che vive degli insuccessi
altrui) e buttatevi!
Faber
est suae quisque fortunae!