giovedì 29 novembre 2012

HO UN SASSOLINO NELLA SCARPA, AHI!

Vi ricordate il post sull'esperienza in Senato,
sulla duplice performance radiofonica a 105 con Ale Cattelan
e sulle ballerine di Rio che festeggiavano dentro di me?
Bene: il sambodromo ha riaperto i battenti!
Questa premessa,
solo per farvi entrare nel mood giusto del post di oggi.


«Gentile Autrice, siamo lieti di comunicarLe che secondo la giuria della prima edizione del concorso nazionale di scrittura umoristica “Una risata che ci salverà”, il suo racconto risulta fra quelli ritenuti idonei alla pubblicazione».
EHHHH?
Rileggo con più attenzione...
In effetti, quando a giugno mi è arrivata questa mail, mi ci è voluto un po' di tempo per capire.
Andiamo con ordine: a febbraio, per caso, mi è capitato di leggere il bando di questo concorso. E mi sono subito detta: «Ammazza, che coincidenza!» (in realtà credo di aver usato parole più colorite ma il concetto, depurato da uscite triviali, era il medesimo).
Proprio qualche mese prima infatti mi ero lasciata trasportare dall'estro creativo di un nevoso (e nervoso) pomeriggio, in cui la voglia di continuare a tradurre le mie polverose pergamene rosicchiate dai topi toccava i minimi storici, e avevo buttato giù di getto una sorta di manuale di sopravvivenza ospedaliera – operazione dagli impensati risvolti catartici – ispirato al mio transito al Degli Infermi di cui già sapete.
Riprendo in mano il malloppo, apporto alcuni cambiamenti, mi invento una storia credibile, autobiografica ma non troppo e via, compilo i moduli, spedisco il tutto e poi mi impongo di non pensarci più (onde evitare di passare i mesi successivi a controllare compulsivamente la mia casella di posta elettronica).
Purtroppo però a ricordarmelo hanno provveduto altre persone, che io avevo pensato bene di informare della cosa. Convinta infatti che il mondo sia popolato da gente prodiga di saggi consigli, ho avuto l'illuminante idea di chiedere un parere in merito ad alcuni addetti ai lavori (dei quali per pietà umana tacerò nomi e più precise indicazioni biografiche).
Primo errore: MAI rendere partecipi gli altri (tranne pochissimi e selezionati individui che ritenete validi e onesti consiglieri, tipo io ne ho solo UNO di cui mi fido ciecamente) dei tuoi progetti perché troverai sempre qualcuno che per invidia / frustrazione / gelosia / passatempo (o tutte e quattro le opzioni insieme) cercherà di smontarti l'entusiasmo.
Infatti il primo fenomeno (scrittore alquanto famoso nel panorama editoriale italiano) se ne esce con un «Effettivamente vincere un premio letterario a livello nazionale è un colpo da novanta ma tu non ce la farai mai senza un adeguato calcio nel culo» che non ammetteva repliche.
Non paga (secondo errore: errare humanum est, perseverare autem diabolicum... e dire che io il latino dovrei saperlo bene!), ne consulto un altro, di fenomeno, il quale (addentro nel campo della letteratura et editoria) mi dà il colpo di grazia con questa sentenza: «Non scherzare... tu hai sempre scritto libri storici o per l'università. Come potresti far ridere?».
Certo, passare da dotti nonché pallosi saggi accademici a scritti di taglio ironico è un bel salto, ma che ne sai tu della mia vis comica? Avrei tanto voluto chiedergli.
Terzo errore: lasciare sempre attivato il cromosoma “ascolta-tutte-le-minchiate-che-ti-dicono”, altrimenti detto “il-dono-del-discernimento-è-morto”.
E dato che per me funziona l'assioma secondo cui più mi dici che una cosa non riesco a farla, più mi impunto per dimostrarti che non è così, archivio il vaticinio di Cassandro (!) e passo oltre.

Milano, 28 novembre: con Imma De Nardo (a destra) e Nuccia Malescio, organizzatrici dell'evento

A fronte di queste nefaste profezie, vi lascio immaginare con che gaudio io abbia appreso la notizia di essere stata prescelta, tanto più che al concorso hanno partecipato davvero un botto di persone da tutta Italia, anche scrittori affatto alle prime armi (e, giusto a corollario, vorrei fare presente che nonostante i fuffa-consigli ricevuti, dal momento dell'invio dell'opera all'annuncio della selezione, il mio sederino è rimasto intonso da calci, non ho rivisto il mio capolavoro dopo aver fatto un veloce corso di scrittura creativa e i componenti della giuria li ho conosciuti solo ieri sera).
A differenza di quanti sono soliti usare la rete (facebook, twitter, blog, varie ed eventuali) solo per vomitare sugli altri le proprie delusioni o come scaffale per esibire trofei tirati a lucido, qui nel mio Cassonetto si è più discreti. Ciò non toglie però che non facendo io Teresa di nome e non essendo nata a Skopje il 26 agosto 1910, né potendo vantare nel mio palmarès un Nobel per la Pace come Kofi Annan, quando l'occasione giusta mi offre il destro, ne approfitto per togliermi qualche sassolino dalla scarpa.
Dedicare questo premio a coloro che hanno fatto di tutto per disincentivarmi, mi sembrerebbe davvero troppo, forse neanche Gandhi arriverebbe a tanto... però a voi, iettatori dei miei stivali, voglio ricordare due cose:
La prima – che a farsi i cazzi propri si campa cent'anni, quindi magari, potreste fare anche a meno di elargire pareri / consigli / pensieri debitamente verniciati di tinte fosche, se non richiesti (e se volete arrivare a spegnere almeno 80 candeline).
La seconda – il suggerimento evergreen del mio guru spirituale Giampiero “Canna” Canneddu che tempo addietro, a fronte di svariati successi professionali, a tutti questi saccenti menagrami del mio passato lavorativo mi suggeriva di inviare un serafico pensiero che suonava pressappoco così: AND NOW, YOU ALL CAN KISS MY ASS!

Il frontespizio dell'antologia, con i racconti scelti dalla giuria. Del Bucchia Editore
E chiudo con un personalissimo pensiero: se siete sicuri delle vostre capacità e sognate di cimentarvi in un'impresa nella quale però bookmakers da quattro soldi vi danno perdenti senza reali motivazioni, ascoltate il vostro istinto, turatevi le orecchie (e talvolta pure il naso perché a questo mondo c'è proprio tanta gente di emme-e-erre-di-a ed insoddisfatta che vive degli insuccessi altrui) e buttatevi!
Faber est suae quisque fortunae!

giovedì 22 novembre 2012

VUOI ESSERE FELICE? FAI LE PULIZIE!

Parola di Keisuke Matsumoto.
«Chi?», mi sembra di sentirvi esclamare.
Lui è un monaco buddhista trentatreenne, che dirige il tempio Komyoji di Tokyo, e qualche settimana fa è uscito in Italia il suo saggio, “Manuale di pulizie di un monaco buddhista”.
Avendovi già spiattellato la mia fissazione per l'ordine e l'igiene, potete facilmente comprendere perché io sia all'argomento alquanto interessata soprattutto in questo periodo in cui, per qualche strana congiuntura astrale, sono sommersa più del solito da post it che mi ricordano improcrastinabili attività indoor poco amene (ovvero tutte quelle attività casalinghe – una su tutte: il cambio stagione – che affronti con un entusiasmo ai minimi storici e che alla prima buona occasione interrompi e così dopo enne giorni e/o settimane ti trovi semi sommersa da una torre di Pisa di indumenti da stirare e con vestiti di lino ancora da ritirare).
Ma ecco arrivare in nostro soccorso lui, il saggio monaco, che per ovviare a questi fastidiosi inconvenienti, cosa ci suggerisce? «Zengosaidan», espressione della tradizione Zen che significa “non rimandare”.
Eh già, bravo tu... ma come si fa?
«Dove c'è disordine, non c'è serenità. Quando ciò che ti circonda è disordine, vuol dire cha anche la tua testa è nel caos. Pertanto – spiega Keisuke – per avere la mente sgombra e serena, bisogna cominciare tenendo bene la propria casa. Sì, parlo proprio di fare le pulizie, in prima persona: per purificarsi dalle passioni oscuranti, bisogna spolverare! In Giappone, come in Europa, i lavori di pulizia sono considerati un'attività “femminile”, ma noi monaci buddhisti li svolgiamo come attività giornaliera. Ci servono per “coltivare” lo spirito e arricchire la nostra anima».
Da questo punto di vista – lo confesso – non avevo mai osservato la situazione anche se, per dirla proprio tutta, quando sono alle prese con panni da stendere, scope, stracci, detersivi, secchi, ferro da stiro e compagnia bella più che ripulire il mio karma, credo di recargli ulteriore danno data la compilation di colorite, e non sempre urbane, osservazioni che sento distrattamente uscire dalla mia bocca quando, in una atmosfera da Blade Runner cerco, tanto per fare un esempio, per la decima volta di eliminare pieghe, pieghine e pieghette che si sono formate sulla manica di una camicia del Rose.

Ma quante colpe devi espiare, caro Rose, per essere sempre tu il fortunato prescelto alla pulizia del frigo? 
Ma non è finita qui. «Nella tradizione buddhista a cui appartengo, noi monaci iniziamo la giornata pulendo il tempio: non tanto perché sia sporco, ma perché con questo lavoro laviamo via le macchie del nostro spirito. Certo, potreste dire: c'è tanta gente poco attenta alla pulizia che sembra felice. Non so, ma io penso che se riesci a essere sereno in un ambiente caotico, ci sono solo due possibilità: o sei Buddha o una sua reincarnazione», conclude Keisuke.
Lui sembra così convinto che mi fa quasi venir voglia di provare ad applicare questa forma mentis al prossimo giro di pulizie domestiche sempre che non mi suggeriate un metodo più sicuro e magari testato da voi stesse per sopravvivere allo sfibrante impegno dei lavori domestici senza perdere il mio proverbiale aplomb!

P.S. = Se è valido l'aut aut del nostro amico monaco, quante di noi vivono con accanto una reincarnazione di Buddha (perché sono certa che anche il vostro, di coniuge, ha sviluppato una capacità di assuefazione al disordine sconcertante)???

giovedì 15 novembre 2012

SPECCHIO, SPECCHIO DELLE MIE BRAME...

Premetto che nonostante io sia una femminuccia, contrariamente agli stereotipi che vorrebbero tutte noi donne drogate di “creme anti” (anti-aging, anti-cellulite, anti-smog, anti-macchie, anti-brufoli...), non ho mai nutrito un particolare amore per impacchi, fanghi, gel e lozioni varie. O meglio: parto tutta convinta ad utilizzare un prodotto, ammaliata dalle sue sedicenti proprietà miracolose, ma in tempo zero vengo sopraffatta da un indomabile scazzo e il barattolo rimane a giacere impolverato sul ripiano più alto (e lontano dal raggio d'azione dei miei occhi) del bagno.
In realtà però sin da piccola mi è sempre piaciuto creare intrugli, di dubbia utilità, mescolando i cosmetici di mother Angel che mi capitavano a tiro e la cosa mi divertiva proprio, specie se mi riusciva di elaborare un risultato finale molto colorato e profumato (questo, ovviamente, fino a quando mother Angel non ha pensato bene di mettere sotto chiave creme, profumi e borotalchi).
Questa passione negli anni non si è del tutto spenta e recentemente a farne le spese è stato il povero Rose, il quale però – dopo essersi non troppo volontariamente sottoposto a maschera rilassante + pulizia del viso made by Betta – si è ritrovato per giorni con la faccia gonfia come una zampogna!
Va da sé che, data questa mia predisposizione a preparare pozioni “streghesche”, abbia trovato molto illuminante l'articolo che ho letto qualche giorno fa sul Corriere della Sera in materia di elisir di bellezza delle celeb.

...perché della streghetta, ho in dotazione anche il mezzo di trasporto!

Sentite qua.
Di cosa pare che non possano fare a meno i coniugi Beckham, Tom Cruise e Anne Hathaway? Di una crema a base di escrementi di usignolo, per la quale arrivano a spendere milioni di dollari, ideata dall'estetista Shizuka Bernstein seguendo un'antica tecnica giapponese di idratazione e illuminazione del viso utilizzata dalle geishe e dagli attori di kabuki.
Raccapricciante e ai limiti del pulp la scelta di Reene Zellweger e Jennifer Lopez, che senza batter ciglio annullano tutti gli impegni per mezza giornata e sborsano più di 500 sterline a botta per farsi stendere un abbondante strato di placenta di pecora sulla pelle dove va lasciato per almeno 12 ore. Il trattamento, assicurano i due chirurghi estetici italiani che lo hanno inventato, promette una pelle splendente in tre giorni e per i cinque mesi successivi.
Sembra una scena di un film splatter ma purtroppo corrisponde al vero anche la scelta dell'ereditiera più glamour di Hollywood. Paris Hilton, nota per non essere la regina del buon gusto, ama farsi spalmare da una sostanza grigiastra, che si accumula nell'intestino dei capodogli come barriera protettiva ovvero: vomito di balena.
Un vero e proprio “botox naturale” è, stando alle ultime scoperte nel campo dell'antiage, il veleno delle api: vi basteranno poche gocce per apparire più giovani e luminose (mentre al vostro portafoglio servirà una respirazione bocca a bocca per riprendersi dato che da 10.000 api si ottiene un solo grammo di veleno alla considerevole cifra di 304 dollari). Lo garantisce il Wall Street Journal, che cita come esempi Michelle Pfeiffer, Gwyneth Paltrow e Camilla Parker Bowles (ehm, quest'ultima io personalmente avrei evitato di nominarla, non essendo precisamente la quintessenza della figaggine).
E non è mica finita. Credono nelle proprietà miracolose del veleno di vipera – che pare paralizzi i muscoli facciali proprio come dopo un morso del rettile, lasciando la pelle liscia e senza rughe – Demi Moore, Angelina Jolie e Penelope Cruz. Le trovate in questo ambito non sono meno folli tra le star di casa nostra: Simona Izzo mischia il colostro di vacca nel fondotinta per distendere i lineamenti del volto, secondo Maria Grazia Cucinotta e Patty Pravo la bava di lumache assicura ottimi risultati contro acne, rughe e smagliature mentre Martina Colombari è diventata la testimonial di una crema anti-età ottenuta dalle ghiandole del baco da seta.


Bèh, in confronto a queste trovate il mio impiastro a base di olio di mandorle, elicriso, cera d'api e talco mentolato non è poi da buttare via (capito, Rose?)... devo solo lavorare un po' sull'inspiegabile effetto – tumefazione conseguente!
E voi? Che rapporto avete coi prodigi della cosmetica? Qual'è il vostro segreto di bellezza più stravagante?
Noi del Cassonetto siamo tutt'orecchi!

giovedì 8 novembre 2012

MA CHE FREDDO FA...

No, no... non parlo di temperature e di clima ma, come suggerisce Nada nella sua canzone, di una grande passione che improvvisamente si spegne.
Anzi, restando in ambito musicale, c'è un brano che calza a pennello col post di oggi. Avete presente “Il flamenco della doccia” di Daniele Silvestri (e soprattutto il pezzo che fa: «se non vuoi farti monaca di Monza non lasciarmi senza / perché questa ignobile astinenza / credo che mi ucciderà / Insomma dammela, ti prego dammela / non puoi tenertela, non puoi negarmela / non è la favola di Cenerentola / nemmeno al principe gli c'è voluta / questa eternità») ???
È infatti di questi giorni la notizia di una coppia fiorentina il cui rapporto è imploso dopo sette anni (dico SETTE) di vita ascetica imposti dalla moglie al marito, in seguito alla nascita della prima (e unica) figlia.
Coniuge freddino a letto? È lui / lei il colpevole della fine del matrimonio. Per la Cassazione infatti colui che si nega sessualmente contravviene ai doveri coniugali ed è quindi responsabile della rottura del matrimonio. Il che vorrebbe dire, secondo i supremi giudici, che in simili casi di “sedatio concupiscentiae” scatta la separazione con addebito sulle spalle di colui o colei che sfugge alle avances del partner.
Nella sentenza 19112 si legge: «Il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge, [...] provocando frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell'equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner». Perciò tale condotta «legittima pienamente l'addebitamento della separazione, in quanto rende impossibile al coniuge il soddisfacimento delle proprie esigenze affettive e sessuali e impedisce l'esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato».
Insomma, a volerla dire in termini più spicci, «il rifiuto dei rapporti sessuali quando è intenzionale è una violazione dei doveri che derivano dal matrimonio», chiosa un avvocato in proposito.
Ora: in un matrimonio ci sono ics mila incombenze pallose che però dobbiamo svolgere ma anche altrettante sollazzevoli amenità che, viva Iddio, ci fa piacere vivere insieme al partner. Ça va san dire che se il sesso rientra nella prima invece che nella seconda opzione, c'è qualcosa che non va. Comunque, senza voler rubare il lavoro a Willy Pasini, se pensa che l'unione valga la pena di essere salvata, una soluzione, la coppia, in un modo o nell'altro la trova... Io la vedo così!

Documentatevi, gente! Il pericolo della sedatio concupiscentiae è dietro l'angolo!
Per buttarla sul ridere, come deterrente allo sciopero del sesso, care donne, io vi suggerirei di figurarvi questa tutt'altro che remota eventualità: a non concedersi per lungo tempo e senza un motivo concreto, correte il rischio di vedere il vostro lui trasformarsi nel “Don Mignotte” cantato dai Prophilax (canzone che vi consiglio di ascoltare, conscia del fatto che confessandovi questi gusti musicali mi sono giocata quel minimo di credibilità di cui ancora godevo)... forse è meglio correre ai ripari per tempo!
E voi? Che ne pensate? Vi è mai capitato di inventarvi qualche panzana per disertare il talamo? Se sì, esaurita la scusa del mal di testa, a quale bislacco escamotage siete ricorsi?
P.S. = Per una questione di privacy, questo giro sono ammessi anche commenti in forma anonima o che suonino tipo «Una mia amica dice che...».

giovedì 1 novembre 2012

COME SI CAMBIA

In questi quasi sette mesi, qui sul Cassonetto avete sempre trovato post scanzonati nei quali, seguendo il mood del blog, si è cercato di affrontare più o meno qualunque argomento sdrammatizzandolo con ironia.
Ma un blog monocorde è poco credibile e così mossa da questa considerazione da un lato e dai pensieri affatto leggeri di questa giornata “battistianamente” uggiosa dall'altro, vi racconto cosa mi passa per la testa oggi, anche se va un po' controcorrente rispetto al clima spensierato cui siete abituati.
Ho sempre amato il primo novembre. Il giro dei cimiteri mi vedeva, compita accanto a mamma e papà, incassare elogi su elogi per la mia esemplare condotta – «Ah, che brava masnà ca t'è, Angela!» – mentre tra una preghierina e l'altra sulle tombe di bisnonni o prozii mai conosciuti pregustavo tra me e me il ghiotto epilogo del pomeriggio: caldarroste e cioccolata calda (lo so, uno schiaffo alle norme basilari di corretta alimentazione!).
Da quando però la vita ha deciso nel giro di pochi mesi, di portarmi via quattro tra le persone più importanti della mia famiglia, il primo di novembre mi causa una certa insofferenza.
Mi urtano quelli che, impellicciati e leziosamente agghindati, vanno a trovare i loro defunti solo in questa occasione e, mentre simulano di sistemare con contrizione i fiori nel vaso, passano il 99 per cento del tempo a guardarsi intorno spettegolando («At lu s'è che l'anvoda dla Mafalda as parla pü col muros?», dice la betonega – prendendo in prestito un termine caro a Matusa 55 – Ics. «Ma basta lah», ribatte con vivo stupore la betonega Ipsilon. Non paga, la betonega Ics rincara la dose con un bel: «Secund mi, aiè n'aut. Cula mata lì... l'è tame so mari». Traduco: «Lo sai che la nipote di Mafalda non sta più col suo fidanzato storico?» «Ma non mi dire!» «Io credo che ne abbia già un altro... è uguale a sua madre»).
D'altronde la calunnia, si sa, è un venticello e da queste parti tira una certa arietta!
Nei confronti di queste persone (e sono davvero tante!) sono diventata così intollerante da augurarmi ogni volta che il mio sguardo di severa riprovazione possa prima o poi fulminarli non solo metaforicamente!
Sarà che io per ricordarmi della Wanda, del Valentino, dello zio Franco e soprattutto di papà Walter non devo aspettare uno specifico giorno dell'anno. Loro sono i miei angeli custodi quotidiani e nel tempo mi sono convinta che dietro a quelle lapidi sono rimaste solo le loro parti più materiali e quindi meno importanti.
Per evitare ulteriori accessi di ira funesta, travasi di bile, sconsiderate incazzature e risse sfiorate, da quest'anno quindi si cambia. Ho deciso infatti di tenermi alla larga da quella parata di crisantemi, lumini e ipocrisie e riesumare invece la nostra vecchia tradizione di famiglia, che oramai senza il Walter nelle vesti di “caldarrostaio” ufficiale è andata perduta: ricerca per i boschi, selezione, abbrustolimento e spelatura delle castagne.


Un modo per sentirci, ancora, tutti insieme.
... anche se, tutto sommato, devo confessare che sarà pur vero ciò che sostiene Fiorella Mannoia, cioè che è inevitabile il cambiamento «per non soffrire, [...] per ricominciare», ma io continuo a pensarla come Veronica Mars: «Ci sono delle persone che riescono a prevedere i cambiamenti. Io non sono una di loro. Il cambiamento purtroppo arriva sempre come un pugno in faccia, per me»!
E voi, Cassonetto's people? Come siete messi coi cambiamenti radicali? Sapete affrontarli spavaldi senza timore alcuno oppure li vivete con la preoccupazione di ricevere uno stordente gancio alla Tyson?