giovedì 20 dicembre 2012

PANETTONE IS ON THE TABLE AND EVERYBODY IS DRINKING MOSCHETO

In queste settimane zappingando, telecomando alla mano, da un canale all'altro oppure sfogliando qualche tipico settimanale femminile o curiosando nella rete non si fa altro che leggere dritte su come fare in casa ghirlande e addobbi, su quali siano i regali più intelligenti ed azzeccati, su cosa cucinare a Natale, su come apparecchiare la tavola per il 25 dicembre et similia, tutte dissertazione che mi sfiniscono di noia.
Dotata di una manualità imbarazzante, di cimentarmi a creare decorazioni, segnaposti e centrotavola personalizzati non ci penso nemmeno essendo io, in questo genere di attività, notoriamente una zappa, direi che, dopo essermi assicurata, per quanto riguarda il menù, la preparazione dei miei due pezzi forte (l'arrosto e la crema per il panettone, vantando il possesso di due ricette segretissime e che riscuotono sempre un immarcescibile successo... roba che in queste due specialità nemmeno la Benedetta nazionale riuscirebbe a eguagliarmi), delegata l'operazione “imbandimento tavola” all'estro fantasioso di mother Angel (che ha un'abilità innata a trasformare uno spartano desco in un elegante ensemble di porcellane, fiori, candele e nastrini di raso), posso dedicarmi a ciò che amo di più: concentrarmi sui regali, studiati uno ad uno in base ai vari destinatari, per un effetto sorpresa assicurato.
Ergo: detesto quelli che il 24 dicembre al pomeriggio si fiondano nel primo negozio che incontrano e si fanno incartare un cadeau “ad minchiam” (per usare un termine, coniato da Tetosocio, particolarmente calzante), convinti pure di fare bella figura.
Un regalo deve avere una storia, parlare di te, saper donare un'emozione (e per riuscirci, non serve sputtanarsi la tredicesima!), mica deve esaurirsi tutto in un compulsivo spacchettamento e conseguente «Oh, che bello!», un po' farlocco e di circostanza.
Per questo da buona Poirot in gonnella, parto per tempo e già ad ottobre inizio a investigare sui desiderata delle persone a me più care. Certo, purtroppo anche nella mia lista ce ne sono alcune alle quali preferirei regalare un'opera di Pietro Manzoni (avete presente quelle scatolette di latta contenenti feci e passate alla storia come “Artist's shit”?) piuttosto che sbattermi a cercare il classico pensierino di circostanza, ma per fortuna negli anni sono sensibilmente diminuite.
Che poi, da vera leopardiana inside, sono convinta che il bello stia proprio nella magica attesa del giorno di festa più che nella domenica in sé, per dirla con la metafora del Sabato del villaggio.
Ed ora, immaginate di avere un'adeguata colonna sonora in sottofondo (tipo la canzone degli Elio e le Storie Tese di cui al titolo), annusate nell'aria l'inconfondibile profumo di panettone e vin brulè, figuratevi la Betta e Teto in abiti natalizi e allora li sentirete anche urlare a squarciagola:
AUGURI, CASSONETTARI!!!

E' Natale, Gesù è nato, tanti auguri dalla Betta, dal suo cagnone e...

da Tetosocio debitamente agghindato! (AVETE RICONOSCIUTO LA CANZONCINA DI FANTOZZI, VERO?)



E poteva mancare un'arguta riflessione sul Natale
da parte del mio insostituibile socio Teto?
Ci voleva la sua ben nota maestria esplicativa
per sensibilizzarci su un problema sociale
troppo spesso trascurato...


Anzitutto va detto che non se ne può più di quelle sagome rosse e bianche appese ai balconi in ogni dove. Ho seriamente pensato di affiliarmi al C.L.N.(G), Comitato di Liberazione Nani da Giardino, meritoria associazione che si preoccupa di prelevare le statuette di nani da giardino presso le abitazioni private, per dare loro una più naturale e libera collocazione nei boschi. Volevo proporre loro una associazione gemella che si occupasse di tirare di fionda a 'sti orribili e goffi pupazzi penzolanti che ammorbano il tempo natalizio.
Oltre a questo, non ho in simpatia il borioso panzone biancobarbuto per altri motivi.
Pe prima cosa la versione odierna è frutto di una campagna pubblicitaria creata da una nota multinazionale negli anni '50, cosa che lo rende ancor oggi ostacolo di ogni abbruttimento da parte di pubblicitari monomaniaci, che lo vestono, lo declinano e ce lo propinano in ogni salsa (compresa, ovvio, quella della babanatala sexy in guepiere rosso fuoco).
L'altro elemento è che la versione taroccata di San Nicola crea un sacco di problemi con i figli. Bisogna dire loro che esiste o che non esiste? E quando, a che età, si può dire che non esiste? E come fare a spiegare al proprio figlio che non ci sono soldi per comprare il superlegotechnoultramega da 200 euro a scatola, mentre il piccolo, con l'aria più innocente del mondo ti dice «tanto me lo porta Babbo Natale». Tu ti senti un poveraccio, vai a impegnarti al monte di pietà l'oro di famiglia per pagare l'agognato regalo e la bella figura la fa il lappone che vola sui tetti con le renne.
Bell'affare.
Questo mito ridicolo, di un vecchio ciccione che porta, contemporaneamente, in tutto il mondo, a tutti i bambini i regali, comporta una ulteriore conseguenza: obbliga papà-nonni-zii a travestirsi, mimetizzando la voce, per consegnare i regali ai figli.
I figli non sono scemi, ti beccano e ti costringono ad arzigogolatissime spiegazioni per motivare la sostituzione.
Per questo, per protesta, compongo con grande amore il Presepe. E adoro Gesù Bambino.


martedì 11 dicembre 2012

ESCI DA QUESTO CORPO

Per dodici anni è sempre stato così: ogni lunedì alle otto ci si trascinava (se stessi con borsoni e valigia, zeppi di libri, vestiti, viveri e cianfrusaglie, al seguito) fino alla stazione di Biella San Paolo e quasi tutti i venerdì vi si faceva ritorno (sempre che si riuscisse a prendere al volo, in perfetto stile Fantozzi – avete presente la scena dell'autobus, vero? – il treno delle 18.20... all'epoca ancora non mi era chiaro l'esatto significato di “partenza intelligente”).
Dodici anni, per un totale malcontato (in difetto) di mille viaggi, non son pochi.
Questo per dire che vanto una certa esperienza in materia.
E, statistiche alla mano, va detto che 9 volte su 10 mi è capitato di, stritolata nel microspazio di un sedile sporco e sgangherato, passare un paio d'ore con un vicino sgradito.
Sgradito” perché...
OPZIONE 1: puzza;
OPZIONE 2: russa;
OPZIONE 3: non fa che ruminare cicles accompagnando la fastidiosa masticazione col piacevole vezzo di far scoppiare la gomma una media di 15 volte al minuto;
OPZIONE 4: è un chiacchierone, disponibile nella VARIANTE A - ti sfianca attaccandoti un bottone infinito ed incollandosi a te come una lampreda di mare (ed in genere si tratta di un tipo insignificante che pesa 110 chili ed è alto come un nano da giardino) – o nella VARIANTE B – è un figo da paura ma se la tira, non ti rivolge la parola nemmeno per salutarti e passa il tempo con la bocca incollata al cellulare (cosa che ti impedisce di leggere e ti obbliga a farti i cazzi suoi).
Non va dimenticata poi l'OPZIONE 5, indipendente dalla presenza di un vicino più o meno ingombrante: avaria del mezzo di trasporto (eventualità tutt'altro che improbabile quando posi le tue chiappe su una littorina dei tempi del Duce che, per citare qualche ricorrente esempio, decide di abbandonarti lasciandoti per ore fra le risaie sotto la pioggia oppure ti costringe a viaggiare a meno dieci a dicembre causa improvvisa rottura dell'impianto di riscaldamento).
Insomma, di avventure “trenaiole” ne ho accumulate parecchie.
Per questo motivo ho letto con sommo interesse i trucchi recentemente suggeriti dal fotogiornalista Dave Seminara per assicurarsi un posto vuoto al proprio fianco:
CONSIGLIO 1 – sparpagliare le proprie cose (libri, borsa, giornali...) ovunque, fingendo che il sedile accanto al proprio sia occupato.
CONSIGLIO 2 – simulare di essere indaffarati (tuffandosi nel portatile o fingendo un'accesa conversazione telefonica) per scoraggiare ogni avvicinamento.
CONSIGLIO 3 – non guardare mai negli occhi il potenziale vicino, anche e soprattutto se il malcapitato ti rivolge la parola per chiedere se il posto è libero.
CONSIGLIO 4 – fare agli altri quello che non si vorrebbe venisse fatto a noi. E a questo proposito Dave suggerisce tre alternative: fingere di soffrire il treno / l'aereo / la nave / il bus (posizionando in bella mostra sul grembo un sacchettino per il vomito); simulare di essere un fanatico di musica inascoltabile (indossando un paio di cuffie extralarge e ascoltando a tutto volume che so... “Su di noi” di Pupo, magari canticchiando pure il brano sottovoce) e infine puntare sull'odore mettendosi in borsa un etto di taleggio invecchiato.
Io invece, dopo anni ed anni di allenamento, avevo sviluppato un mio personalissimo sistema: fissavo l'intrepido vicino con una faccia assassina tipo “Scream” fingendo di essere radioattiva.
Il successo di questa tecnica – denominata “Esci da questo corpo” - era garantito ma prima di applicarla vi consiglio di assicurarvi di non conoscere nessuno di quelli seduti nel vagone altrimenti è assicurato anche lo sputtanamento!

LA TECNICA - BETTA... PER UN SUCCESSO GARANTITO!

E voi? Avete avuto qualche epica disavventura durante un vostro spostamento? Cosa proprio non riuscite a sopportare di un vostro potenziale vicino di sedile?
Forza, condividete... mica vorrete farmi sentire la Annie Wilkes della situazione?

giovedì 29 novembre 2012

HO UN SASSOLINO NELLA SCARPA, AHI!

Vi ricordate il post sull'esperienza in Senato,
sulla duplice performance radiofonica a 105 con Ale Cattelan
e sulle ballerine di Rio che festeggiavano dentro di me?
Bene: il sambodromo ha riaperto i battenti!
Questa premessa,
solo per farvi entrare nel mood giusto del post di oggi.


«Gentile Autrice, siamo lieti di comunicarLe che secondo la giuria della prima edizione del concorso nazionale di scrittura umoristica “Una risata che ci salverà”, il suo racconto risulta fra quelli ritenuti idonei alla pubblicazione».
EHHHH?
Rileggo con più attenzione...
In effetti, quando a giugno mi è arrivata questa mail, mi ci è voluto un po' di tempo per capire.
Andiamo con ordine: a febbraio, per caso, mi è capitato di leggere il bando di questo concorso. E mi sono subito detta: «Ammazza, che coincidenza!» (in realtà credo di aver usato parole più colorite ma il concetto, depurato da uscite triviali, era il medesimo).
Proprio qualche mese prima infatti mi ero lasciata trasportare dall'estro creativo di un nevoso (e nervoso) pomeriggio, in cui la voglia di continuare a tradurre le mie polverose pergamene rosicchiate dai topi toccava i minimi storici, e avevo buttato giù di getto una sorta di manuale di sopravvivenza ospedaliera – operazione dagli impensati risvolti catartici – ispirato al mio transito al Degli Infermi di cui già sapete.
Riprendo in mano il malloppo, apporto alcuni cambiamenti, mi invento una storia credibile, autobiografica ma non troppo e via, compilo i moduli, spedisco il tutto e poi mi impongo di non pensarci più (onde evitare di passare i mesi successivi a controllare compulsivamente la mia casella di posta elettronica).
Purtroppo però a ricordarmelo hanno provveduto altre persone, che io avevo pensato bene di informare della cosa. Convinta infatti che il mondo sia popolato da gente prodiga di saggi consigli, ho avuto l'illuminante idea di chiedere un parere in merito ad alcuni addetti ai lavori (dei quali per pietà umana tacerò nomi e più precise indicazioni biografiche).
Primo errore: MAI rendere partecipi gli altri (tranne pochissimi e selezionati individui che ritenete validi e onesti consiglieri, tipo io ne ho solo UNO di cui mi fido ciecamente) dei tuoi progetti perché troverai sempre qualcuno che per invidia / frustrazione / gelosia / passatempo (o tutte e quattro le opzioni insieme) cercherà di smontarti l'entusiasmo.
Infatti il primo fenomeno (scrittore alquanto famoso nel panorama editoriale italiano) se ne esce con un «Effettivamente vincere un premio letterario a livello nazionale è un colpo da novanta ma tu non ce la farai mai senza un adeguato calcio nel culo» che non ammetteva repliche.
Non paga (secondo errore: errare humanum est, perseverare autem diabolicum... e dire che io il latino dovrei saperlo bene!), ne consulto un altro, di fenomeno, il quale (addentro nel campo della letteratura et editoria) mi dà il colpo di grazia con questa sentenza: «Non scherzare... tu hai sempre scritto libri storici o per l'università. Come potresti far ridere?».
Certo, passare da dotti nonché pallosi saggi accademici a scritti di taglio ironico è un bel salto, ma che ne sai tu della mia vis comica? Avrei tanto voluto chiedergli.
Terzo errore: lasciare sempre attivato il cromosoma “ascolta-tutte-le-minchiate-che-ti-dicono”, altrimenti detto “il-dono-del-discernimento-è-morto”.
E dato che per me funziona l'assioma secondo cui più mi dici che una cosa non riesco a farla, più mi impunto per dimostrarti che non è così, archivio il vaticinio di Cassandro (!) e passo oltre.

Milano, 28 novembre: con Imma De Nardo (a destra) e Nuccia Malescio, organizzatrici dell'evento

A fronte di queste nefaste profezie, vi lascio immaginare con che gaudio io abbia appreso la notizia di essere stata prescelta, tanto più che al concorso hanno partecipato davvero un botto di persone da tutta Italia, anche scrittori affatto alle prime armi (e, giusto a corollario, vorrei fare presente che nonostante i fuffa-consigli ricevuti, dal momento dell'invio dell'opera all'annuncio della selezione, il mio sederino è rimasto intonso da calci, non ho rivisto il mio capolavoro dopo aver fatto un veloce corso di scrittura creativa e i componenti della giuria li ho conosciuti solo ieri sera).
A differenza di quanti sono soliti usare la rete (facebook, twitter, blog, varie ed eventuali) solo per vomitare sugli altri le proprie delusioni o come scaffale per esibire trofei tirati a lucido, qui nel mio Cassonetto si è più discreti. Ciò non toglie però che non facendo io Teresa di nome e non essendo nata a Skopje il 26 agosto 1910, né potendo vantare nel mio palmarès un Nobel per la Pace come Kofi Annan, quando l'occasione giusta mi offre il destro, ne approfitto per togliermi qualche sassolino dalla scarpa.
Dedicare questo premio a coloro che hanno fatto di tutto per disincentivarmi, mi sembrerebbe davvero troppo, forse neanche Gandhi arriverebbe a tanto... però a voi, iettatori dei miei stivali, voglio ricordare due cose:
La prima – che a farsi i cazzi propri si campa cent'anni, quindi magari, potreste fare anche a meno di elargire pareri / consigli / pensieri debitamente verniciati di tinte fosche, se non richiesti (e se volete arrivare a spegnere almeno 80 candeline).
La seconda – il suggerimento evergreen del mio guru spirituale Giampiero “Canna” Canneddu che tempo addietro, a fronte di svariati successi professionali, a tutti questi saccenti menagrami del mio passato lavorativo mi suggeriva di inviare un serafico pensiero che suonava pressappoco così: AND NOW, YOU ALL CAN KISS MY ASS!

Il frontespizio dell'antologia, con i racconti scelti dalla giuria. Del Bucchia Editore
E chiudo con un personalissimo pensiero: se siete sicuri delle vostre capacità e sognate di cimentarvi in un'impresa nella quale però bookmakers da quattro soldi vi danno perdenti senza reali motivazioni, ascoltate il vostro istinto, turatevi le orecchie (e talvolta pure il naso perché a questo mondo c'è proprio tanta gente di emme-e-erre-di-a ed insoddisfatta che vive degli insuccessi altrui) e buttatevi!
Faber est suae quisque fortunae!

giovedì 22 novembre 2012

VUOI ESSERE FELICE? FAI LE PULIZIE!

Parola di Keisuke Matsumoto.
«Chi?», mi sembra di sentirvi esclamare.
Lui è un monaco buddhista trentatreenne, che dirige il tempio Komyoji di Tokyo, e qualche settimana fa è uscito in Italia il suo saggio, “Manuale di pulizie di un monaco buddhista”.
Avendovi già spiattellato la mia fissazione per l'ordine e l'igiene, potete facilmente comprendere perché io sia all'argomento alquanto interessata soprattutto in questo periodo in cui, per qualche strana congiuntura astrale, sono sommersa più del solito da post it che mi ricordano improcrastinabili attività indoor poco amene (ovvero tutte quelle attività casalinghe – una su tutte: il cambio stagione – che affronti con un entusiasmo ai minimi storici e che alla prima buona occasione interrompi e così dopo enne giorni e/o settimane ti trovi semi sommersa da una torre di Pisa di indumenti da stirare e con vestiti di lino ancora da ritirare).
Ma ecco arrivare in nostro soccorso lui, il saggio monaco, che per ovviare a questi fastidiosi inconvenienti, cosa ci suggerisce? «Zengosaidan», espressione della tradizione Zen che significa “non rimandare”.
Eh già, bravo tu... ma come si fa?
«Dove c'è disordine, non c'è serenità. Quando ciò che ti circonda è disordine, vuol dire cha anche la tua testa è nel caos. Pertanto – spiega Keisuke – per avere la mente sgombra e serena, bisogna cominciare tenendo bene la propria casa. Sì, parlo proprio di fare le pulizie, in prima persona: per purificarsi dalle passioni oscuranti, bisogna spolverare! In Giappone, come in Europa, i lavori di pulizia sono considerati un'attività “femminile”, ma noi monaci buddhisti li svolgiamo come attività giornaliera. Ci servono per “coltivare” lo spirito e arricchire la nostra anima».
Da questo punto di vista – lo confesso – non avevo mai osservato la situazione anche se, per dirla proprio tutta, quando sono alle prese con panni da stendere, scope, stracci, detersivi, secchi, ferro da stiro e compagnia bella più che ripulire il mio karma, credo di recargli ulteriore danno data la compilation di colorite, e non sempre urbane, osservazioni che sento distrattamente uscire dalla mia bocca quando, in una atmosfera da Blade Runner cerco, tanto per fare un esempio, per la decima volta di eliminare pieghe, pieghine e pieghette che si sono formate sulla manica di una camicia del Rose.

Ma quante colpe devi espiare, caro Rose, per essere sempre tu il fortunato prescelto alla pulizia del frigo? 
Ma non è finita qui. «Nella tradizione buddhista a cui appartengo, noi monaci iniziamo la giornata pulendo il tempio: non tanto perché sia sporco, ma perché con questo lavoro laviamo via le macchie del nostro spirito. Certo, potreste dire: c'è tanta gente poco attenta alla pulizia che sembra felice. Non so, ma io penso che se riesci a essere sereno in un ambiente caotico, ci sono solo due possibilità: o sei Buddha o una sua reincarnazione», conclude Keisuke.
Lui sembra così convinto che mi fa quasi venir voglia di provare ad applicare questa forma mentis al prossimo giro di pulizie domestiche sempre che non mi suggeriate un metodo più sicuro e magari testato da voi stesse per sopravvivere allo sfibrante impegno dei lavori domestici senza perdere il mio proverbiale aplomb!

P.S. = Se è valido l'aut aut del nostro amico monaco, quante di noi vivono con accanto una reincarnazione di Buddha (perché sono certa che anche il vostro, di coniuge, ha sviluppato una capacità di assuefazione al disordine sconcertante)???

giovedì 15 novembre 2012

SPECCHIO, SPECCHIO DELLE MIE BRAME...

Premetto che nonostante io sia una femminuccia, contrariamente agli stereotipi che vorrebbero tutte noi donne drogate di “creme anti” (anti-aging, anti-cellulite, anti-smog, anti-macchie, anti-brufoli...), non ho mai nutrito un particolare amore per impacchi, fanghi, gel e lozioni varie. O meglio: parto tutta convinta ad utilizzare un prodotto, ammaliata dalle sue sedicenti proprietà miracolose, ma in tempo zero vengo sopraffatta da un indomabile scazzo e il barattolo rimane a giacere impolverato sul ripiano più alto (e lontano dal raggio d'azione dei miei occhi) del bagno.
In realtà però sin da piccola mi è sempre piaciuto creare intrugli, di dubbia utilità, mescolando i cosmetici di mother Angel che mi capitavano a tiro e la cosa mi divertiva proprio, specie se mi riusciva di elaborare un risultato finale molto colorato e profumato (questo, ovviamente, fino a quando mother Angel non ha pensato bene di mettere sotto chiave creme, profumi e borotalchi).
Questa passione negli anni non si è del tutto spenta e recentemente a farne le spese è stato il povero Rose, il quale però – dopo essersi non troppo volontariamente sottoposto a maschera rilassante + pulizia del viso made by Betta – si è ritrovato per giorni con la faccia gonfia come una zampogna!
Va da sé che, data questa mia predisposizione a preparare pozioni “streghesche”, abbia trovato molto illuminante l'articolo che ho letto qualche giorno fa sul Corriere della Sera in materia di elisir di bellezza delle celeb.

...perché della streghetta, ho in dotazione anche il mezzo di trasporto!

Sentite qua.
Di cosa pare che non possano fare a meno i coniugi Beckham, Tom Cruise e Anne Hathaway? Di una crema a base di escrementi di usignolo, per la quale arrivano a spendere milioni di dollari, ideata dall'estetista Shizuka Bernstein seguendo un'antica tecnica giapponese di idratazione e illuminazione del viso utilizzata dalle geishe e dagli attori di kabuki.
Raccapricciante e ai limiti del pulp la scelta di Reene Zellweger e Jennifer Lopez, che senza batter ciglio annullano tutti gli impegni per mezza giornata e sborsano più di 500 sterline a botta per farsi stendere un abbondante strato di placenta di pecora sulla pelle dove va lasciato per almeno 12 ore. Il trattamento, assicurano i due chirurghi estetici italiani che lo hanno inventato, promette una pelle splendente in tre giorni e per i cinque mesi successivi.
Sembra una scena di un film splatter ma purtroppo corrisponde al vero anche la scelta dell'ereditiera più glamour di Hollywood. Paris Hilton, nota per non essere la regina del buon gusto, ama farsi spalmare da una sostanza grigiastra, che si accumula nell'intestino dei capodogli come barriera protettiva ovvero: vomito di balena.
Un vero e proprio “botox naturale” è, stando alle ultime scoperte nel campo dell'antiage, il veleno delle api: vi basteranno poche gocce per apparire più giovani e luminose (mentre al vostro portafoglio servirà una respirazione bocca a bocca per riprendersi dato che da 10.000 api si ottiene un solo grammo di veleno alla considerevole cifra di 304 dollari). Lo garantisce il Wall Street Journal, che cita come esempi Michelle Pfeiffer, Gwyneth Paltrow e Camilla Parker Bowles (ehm, quest'ultima io personalmente avrei evitato di nominarla, non essendo precisamente la quintessenza della figaggine).
E non è mica finita. Credono nelle proprietà miracolose del veleno di vipera – che pare paralizzi i muscoli facciali proprio come dopo un morso del rettile, lasciando la pelle liscia e senza rughe – Demi Moore, Angelina Jolie e Penelope Cruz. Le trovate in questo ambito non sono meno folli tra le star di casa nostra: Simona Izzo mischia il colostro di vacca nel fondotinta per distendere i lineamenti del volto, secondo Maria Grazia Cucinotta e Patty Pravo la bava di lumache assicura ottimi risultati contro acne, rughe e smagliature mentre Martina Colombari è diventata la testimonial di una crema anti-età ottenuta dalle ghiandole del baco da seta.


Bèh, in confronto a queste trovate il mio impiastro a base di olio di mandorle, elicriso, cera d'api e talco mentolato non è poi da buttare via (capito, Rose?)... devo solo lavorare un po' sull'inspiegabile effetto – tumefazione conseguente!
E voi? Che rapporto avete coi prodigi della cosmetica? Qual'è il vostro segreto di bellezza più stravagante?
Noi del Cassonetto siamo tutt'orecchi!

giovedì 8 novembre 2012

MA CHE FREDDO FA...

No, no... non parlo di temperature e di clima ma, come suggerisce Nada nella sua canzone, di una grande passione che improvvisamente si spegne.
Anzi, restando in ambito musicale, c'è un brano che calza a pennello col post di oggi. Avete presente “Il flamenco della doccia” di Daniele Silvestri (e soprattutto il pezzo che fa: «se non vuoi farti monaca di Monza non lasciarmi senza / perché questa ignobile astinenza / credo che mi ucciderà / Insomma dammela, ti prego dammela / non puoi tenertela, non puoi negarmela / non è la favola di Cenerentola / nemmeno al principe gli c'è voluta / questa eternità») ???
È infatti di questi giorni la notizia di una coppia fiorentina il cui rapporto è imploso dopo sette anni (dico SETTE) di vita ascetica imposti dalla moglie al marito, in seguito alla nascita della prima (e unica) figlia.
Coniuge freddino a letto? È lui / lei il colpevole della fine del matrimonio. Per la Cassazione infatti colui che si nega sessualmente contravviene ai doveri coniugali ed è quindi responsabile della rottura del matrimonio. Il che vorrebbe dire, secondo i supremi giudici, che in simili casi di “sedatio concupiscentiae” scatta la separazione con addebito sulle spalle di colui o colei che sfugge alle avances del partner.
Nella sentenza 19112 si legge: «Il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge, [...] provocando frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell'equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner». Perciò tale condotta «legittima pienamente l'addebitamento della separazione, in quanto rende impossibile al coniuge il soddisfacimento delle proprie esigenze affettive e sessuali e impedisce l'esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato».
Insomma, a volerla dire in termini più spicci, «il rifiuto dei rapporti sessuali quando è intenzionale è una violazione dei doveri che derivano dal matrimonio», chiosa un avvocato in proposito.
Ora: in un matrimonio ci sono ics mila incombenze pallose che però dobbiamo svolgere ma anche altrettante sollazzevoli amenità che, viva Iddio, ci fa piacere vivere insieme al partner. Ça va san dire che se il sesso rientra nella prima invece che nella seconda opzione, c'è qualcosa che non va. Comunque, senza voler rubare il lavoro a Willy Pasini, se pensa che l'unione valga la pena di essere salvata, una soluzione, la coppia, in un modo o nell'altro la trova... Io la vedo così!

Documentatevi, gente! Il pericolo della sedatio concupiscentiae è dietro l'angolo!
Per buttarla sul ridere, come deterrente allo sciopero del sesso, care donne, io vi suggerirei di figurarvi questa tutt'altro che remota eventualità: a non concedersi per lungo tempo e senza un motivo concreto, correte il rischio di vedere il vostro lui trasformarsi nel “Don Mignotte” cantato dai Prophilax (canzone che vi consiglio di ascoltare, conscia del fatto che confessandovi questi gusti musicali mi sono giocata quel minimo di credibilità di cui ancora godevo)... forse è meglio correre ai ripari per tempo!
E voi? Che ne pensate? Vi è mai capitato di inventarvi qualche panzana per disertare il talamo? Se sì, esaurita la scusa del mal di testa, a quale bislacco escamotage siete ricorsi?
P.S. = Per una questione di privacy, questo giro sono ammessi anche commenti in forma anonima o che suonino tipo «Una mia amica dice che...».

giovedì 1 novembre 2012

COME SI CAMBIA

In questi quasi sette mesi, qui sul Cassonetto avete sempre trovato post scanzonati nei quali, seguendo il mood del blog, si è cercato di affrontare più o meno qualunque argomento sdrammatizzandolo con ironia.
Ma un blog monocorde è poco credibile e così mossa da questa considerazione da un lato e dai pensieri affatto leggeri di questa giornata “battistianamente” uggiosa dall'altro, vi racconto cosa mi passa per la testa oggi, anche se va un po' controcorrente rispetto al clima spensierato cui siete abituati.
Ho sempre amato il primo novembre. Il giro dei cimiteri mi vedeva, compita accanto a mamma e papà, incassare elogi su elogi per la mia esemplare condotta – «Ah, che brava masnà ca t'è, Angela!» – mentre tra una preghierina e l'altra sulle tombe di bisnonni o prozii mai conosciuti pregustavo tra me e me il ghiotto epilogo del pomeriggio: caldarroste e cioccolata calda (lo so, uno schiaffo alle norme basilari di corretta alimentazione!).
Da quando però la vita ha deciso nel giro di pochi mesi, di portarmi via quattro tra le persone più importanti della mia famiglia, il primo di novembre mi causa una certa insofferenza.
Mi urtano quelli che, impellicciati e leziosamente agghindati, vanno a trovare i loro defunti solo in questa occasione e, mentre simulano di sistemare con contrizione i fiori nel vaso, passano il 99 per cento del tempo a guardarsi intorno spettegolando («At lu s'è che l'anvoda dla Mafalda as parla pü col muros?», dice la betonega – prendendo in prestito un termine caro a Matusa 55 – Ics. «Ma basta lah», ribatte con vivo stupore la betonega Ipsilon. Non paga, la betonega Ics rincara la dose con un bel: «Secund mi, aiè n'aut. Cula mata lì... l'è tame so mari». Traduco: «Lo sai che la nipote di Mafalda non sta più col suo fidanzato storico?» «Ma non mi dire!» «Io credo che ne abbia già un altro... è uguale a sua madre»).
D'altronde la calunnia, si sa, è un venticello e da queste parti tira una certa arietta!
Nei confronti di queste persone (e sono davvero tante!) sono diventata così intollerante da augurarmi ogni volta che il mio sguardo di severa riprovazione possa prima o poi fulminarli non solo metaforicamente!
Sarà che io per ricordarmi della Wanda, del Valentino, dello zio Franco e soprattutto di papà Walter non devo aspettare uno specifico giorno dell'anno. Loro sono i miei angeli custodi quotidiani e nel tempo mi sono convinta che dietro a quelle lapidi sono rimaste solo le loro parti più materiali e quindi meno importanti.
Per evitare ulteriori accessi di ira funesta, travasi di bile, sconsiderate incazzature e risse sfiorate, da quest'anno quindi si cambia. Ho deciso infatti di tenermi alla larga da quella parata di crisantemi, lumini e ipocrisie e riesumare invece la nostra vecchia tradizione di famiglia, che oramai senza il Walter nelle vesti di “caldarrostaio” ufficiale è andata perduta: ricerca per i boschi, selezione, abbrustolimento e spelatura delle castagne.


Un modo per sentirci, ancora, tutti insieme.
... anche se, tutto sommato, devo confessare che sarà pur vero ciò che sostiene Fiorella Mannoia, cioè che è inevitabile il cambiamento «per non soffrire, [...] per ricominciare», ma io continuo a pensarla come Veronica Mars: «Ci sono delle persone che riescono a prevedere i cambiamenti. Io non sono una di loro. Il cambiamento purtroppo arriva sempre come un pugno in faccia, per me»!
E voi, Cassonetto's people? Come siete messi coi cambiamenti radicali? Sapete affrontarli spavaldi senza timore alcuno oppure li vivete con la preoccupazione di ricevere uno stordente gancio alla Tyson?

giovedì 25 ottobre 2012

WELCOME TO THE JUNGLE – PART TWO

Se pensate che in questo contro post io impieghi le mie energie cercando di confutare punto per punto il pensiero espresso da Teto, preso grosso modo ad emblema della condotta maschile tout court, siete fuori strada.
All'idea di passare una domenica all'Ikea o in un qualsivoglia grande centro commerciale tra scaffali, tavoli, ante, cuscini, lampade, utensili da cucina, scopini da bagno ed ammennicoli vari di differenti fogge e dimensioni, tutti da trascinare, disimballare, montare, collocare, decorare, dipingere... vengo irrefrenabilmente colta da sudarella nervosa, avverto un preoccupante senso di fiato corto ed osservo i primi lampanti segni di orticaria sul corpo.
Anche io, comunque, ho fatto qualche capatina nello pseudo paradiso svedese di Ingvar Kamprad (riuscendo peraltro a spendere una cifra immorale) e ciò che mi è rimasto negli anni indelebile nella mente è il ricordo del “dopo” e cioè: “Come il maschio ti monta l'acquisto Ikea”.
Emblematico è il caso Ivar. Lo acquistiamo debitamente turlupinati dalla promessa “Combina i diversi elementi del sistema componibile IVAR: sfruttare al meglio lo spazio è più facile di quanto credi”.
Manca una settimana al matrimonio e il Richy, da sempre il migliore amico del Rose nonché suo testimone di nozze ma soprattutto eccelso ingegnere, si offre di aiutarci.
Inizio delle operazioni di montaggio: ore 14.00. Lascio i due eroi con metro, calcolatrice, fogli bianchi per schizzi creativi alla mano, vedersela con cacciaviti, trapani, chiodi, tasselli, montanti, ganci da fissare, mensole, sicura che al mio ritorno avrei potuto riempire il capiente mobile.
Appena chiusa la porta di casa invece (ore 20.00, per la cronaca), la scena che mi si para davanti sfiora il grottesco: Ivar giace inerme (e smontato) a terra mentre il Richy giace inerme e con una mano gonfia e fasciata sul divano.
Quando i lavori sembravano essere a buon punto, “per qualche strano motivo” (questa la labile giustificazione dei due presenti al fattaccio) l'intera scaffalatura crolla e sfortunatamente trova la mano destra del prode amico su cui atterrare.
Ora, io credo che se noi donne finiamo sempre col considerare in automatico la nostra dolce metà un efficiente tuttofare ci sia un colpevole e questo colpevole abbia un nome e un cognome: è lui, l'agente Angus MacGyver.

Il nostro capro espiatorio
E diciamocelo: MacGyver, dall'inguardabile capigliatura mechata, non era mica un uomo normale, a meno che voi non vogliate far rientrare in questa categoria uno che, armato solo di coltellino svizzero e rotolo di nastro adesivo, riuscirebbe a montarvi cucina, salotto e camera da letto Ikea, senza istruzioni, con gli occhi bendati e in soli 30 minuti netti!
Vi sarà sicuramente capitato almeno una volta nella vita di trovarvi, che so, con lo scarico rotto, un tubo che perde, un elettrodomestico fuori funzione... insomma in panne per qualche piccolo incidente domestico e pensare: «Ussignùr, se solo avessi sposato MacGyver!».
Ecco, a causa di modelli sbagliati propinatici dai telefilm anni Ottanta, noi rischiamo di tacciare ingiustamente il nostro fidanzato / coniuge di scarso rendimento, se non proprio di totale incapacità manuale quando a ben vedere la realtà è meno catastrofica.

Il Rose, un uomo per tutte le stagioni – primavera
In questi dodici anni di convivenza, il Rose non si è mai tirato indietro e all'occorrenza ha intonacato, stuccato, scartavetrato, installato programmi nel computer, tirato a lucido i vetri, pelato chili di pesche quando alla consorte è venuta voglia di fare la marmellata, scaricato quintali di legna o spalato la neve alle ore più impensate, alcune volte rischiando di martellarsi una falange o lasciando qualche alone o riducendo la parete a una specie di colabrodo, ma sempre in prima linea, senza mai sbuffare e solo raramente imprecando.

Il Rose, un uomo per tutte le stagioni – estate

Insomma, un vero uomo – Vivaldi (altrimenti noto anche come, secondo il vocabolario della Betta, “un uomo per tutte le stagioni”)!

Il Rose, un uomo per tutte le stagioni – autunno

Combina i diversi elementi del multitasking Rose: risolvere i piccoli, grandi problemi quotidiani in casa è più facile di quanto credi!

Il Rose, un uomo per tutte le stagioni – inverno

E voi come siete messe? Avete al vostro fianco un MacGyver – Vivaldi, che interpreta la cassetta degli attrezzi come una sorta di protesi del suo corpo, o vivete con un maschietto che ha fatto del proselitismo fancazzistico il suo credo?

giovedì 18 ottobre 2012

WELCOME TO THE JUNGLE – PART ONE


Mettete un uomo alle prese con una domenica che si preannuncia perfetta (divano, tv, trasmissioni sportive).
Immaginatelo sereno e pacioso come un panda intento nella suzione del suo bambù.
E poi il dramma: l'imprevista proposta di lei.
Ta-dàn... Il gelo!
Rallegratevi, ometti. Niente più panico.
Noi del cassonetto vi forniamo un manuale di sopravvivenza per tali infauste eventualità.
E se a scrivere questo utile prontuario è il nostro Teto,
siete in una botte di ferro!


Esiste la domenica perfetta.
Per l'italiano medio, di sesso maschile, la domenica perfetta è una giornata, in genere di settembre, nella quale convergono, come fluenti affluenti ad un fiumoso fiume, più eventi sportivi contemporaneamente, tipo: Gran Premio di Formula 1 (ottima scusa per catatonizzarsi sul divano con un occhio solo semiaperto), Campionato di calcio di serie A, Mondiale di Ciclismo su strada (8 ore di diretta TV). Dato che non è vero che noi uomini siamo tutti uguali, come recitano le femmine in un ingiustificato mantra diffamatorio, esistono delle varianti significative: alcuni di noi preferiscono il tennis e guardano un torneo del Grande Slam, altri antepongono le MotoGP alle AutoF1.
Il mondo è bello perché è vario.
Esiste la domenica perfetta.
Che solitamente si trasforma in una domenica d'inferno, quando la tua moglie/amica/compagna, con la complicità di figli, se ne hai, ti lancia contro la temutissima Fatwa, l'orrido anatema, la nefasta maledizione: «oggi si va all'Ikea!».
A questo punto hai due opzioni. O tieni duro, ma ne paghi le conseguenze, o capitoli. Personalmente, calcolate le opzioni alternative, preferisco capitolare.
Tra le strategie che le femmine mettono in campo per vendicarsi di una mancata gita all'Ikea, vanno segnalate: guerriglia asimmetrico-terroristica, che passa da atti ingiusti e non conformi alla Convenzione di Ginevra tipo blocco della stiratura delle camicie, sequestro (modello lupara bianca) della divisa di calcetto, scomposizione e ricomposizione dell'arredamento casalingo, atteggiamento generale ostile ostentato, fino al temutissimo sciopero di Lisistrata (documentatevi e ne capirete il terrore). Capitolando, invece, la domenica è rovinata, ma si possono patteggiare interessanti opere compensative in cambio, incoraggiate dal morbido atteggiamento di gratitudine della popputa controparte.
Ora l'ostacolo è uscire indenni dalla giornata, magari trovando almeno il modo di aggiornarsi rapidamente sull'andamento delle partite, non tanto per seguire la squadra del cuore, quanto l'andamento dei propri beniamini al Fantacalcio. In questo l'era della multimedialità a portata di click, in effetti, aiuta a sopravvivere.

Direi che la foto non necessita di didascalia esplicativa...
E parliamo di sopravvivenza non a caso: l'ambiente IKEA è un ambiente ostile, infatti. L'uomo lo percepisce già nell'avvicinamento autostradale, nel corso della immancabile coda. Ne ha la conferma durante l'improbabile ricerca di un posteggio comodo.
E comincia a licantropizzarsi.
La trasformazione inizia ad essere evidente nel passaggio dalla parola al ringhio (che non va confuso col grugnito, che è il verso del maiale). Giunti all'interno del Magazzino, la manifestazione dell'ostilità dell'ambiente è di tutta evidenza: sulle pareti campeggiano trionfanti panorami selvaggi di tundre punteggiate da case in legno stile pioniere, gigantografie di fiumi in condizioni di permafrost, boschi innevati. La lingua dei cartellini è incomprensibile, costellata di vocali con dieresi e o tagliate.
A questo punto, la trasformazione è completa e l'uomo si è fatto lupo, con ambizioni da maschio-alfa, spesso francamente eccessive per fisico e prestanza.
Mentre la femmina-alfa si muove con agilità, eleganza e tutto l'entusiasmo che può mettere una donna nel dare fondo ai risparmi sudati con mesi di duro lavoro, il maschio-alfa, rivela la propria natura più ancestrale. Approfitta della distrazione della propria femmina-alfa, per posare impunemente gli occhi su tutte le rotondità delle altre femmine, anch'esse distratte, che gli passano accanto (e bisogna dire che, da questo punto di vista, l'Ikea offre spesso panorami mozzafiato).
L'orgia visiva trova una brusca fine nell'atteggiamento egoisticamente esclusivo degli altri maschi-alfa presenti e della propria femmina-alfa, distratta ma non scema, che alla fine se ne accorge a passa ad un atteggiamento a metà tra la ritorsione e l'opportunismo.
Approfittando dell'occhio incerto del lupo sorpreso durante la caccia di frodo, avanza la proposta di acquistare quell'armadio-che-mi-piace-tanto e che-risolverebbe-tutti-i-nostri-problemi-di-spazio, chiede, alternando occhi languidi (da Bambi, direbbe qualcuno) a sguardo da orca assassina. Il lupo e' in trappola, incastrato, bofonchia, e, infine si ritrasforma in uomo sconfitto.
Inizia una fase d'inferno, con l'immane fatica di risolvere il problema del trasporto del mobile, lo sforzo disumano di caricarlo, scaricarlo e “portarlo su” (come si sa, i mobili di quel tipo sono composti al 5% da avanzi di legno al 95% da colle e resine, che formano un connubio micidiale, del peso specifico pari a quello della ghisa).
Seguirà una settimana devastante, durante la quale ogni minuto libero sarà dedicato al montaggio del terribile manufatto, accompagnato da manuale d'istruzioni disegnato in modo inadeguato ed approssimativo e la pressione di occhi penetranti piazzati fissi sull'impacciato lavoro che stai portando avanti.
Ma questa è un'altra storia.

E noi femminucce, come rispondiamo?
Per saperlo, dovete aspettare il contro post della Betta...

giovedì 11 ottobre 2012

C'È UN TEMPO PER...

...nascere e per morire, per piangere e per ridere, un tempo per stracciare e un tempo per cucire, uno per tacere e uno per parlare... lo dice anche la saggezza senza tempo della Bibbia (Qoelet 3, 1 – 11).
Ma c'è un ex giornalista italoamericano che ha deciso di andare oltre, scendere nei dettagli e studiare quel'è il momento migliore per compiere quelle azioni che più o meno abitualmente tutti noi svolgiamo durante la nostra giornata. Perché – dice lui – nella vita è tutta una questione di azzeccare il “timing”.
E così Mark Di Vincenzo, nei suoi due curiosi libri “Compra il ketchup in maggio e vola a mezzogiorno” e “Compra le scarpe di mercoledì e twitta alle quattro” (diventati, manco a dirlo, dei veri best seller negli Stati Uniti) ci insegna che se vogliamo suonare al meglio uno strumento lo dobbiamo fare nel tardo pomeriggio, quando la coordinazione mano – occhi raggiunge i livelli più alti mentre se abbiamo deciso di iscriverci in palestra, conviene farlo d'estate (quando quelli che si sono iscritti a inizio anno hanno già gettato la spugna e quindi piovono sconti) e se desideriamo cambiare casa, dovremmo farlo a dicembre (in inverno il clima rende le operazioni di trasloco ancora più difficoltose e questo farebbe scendere i prezzi, sostiene il buon Mark. E comunque il giorno migliore per fare una offerta è il primo martedì del mese, ci tiene a farci sapere).
Ma non è finita qui. Volete mettere un post su Facebook? Meglio farlo la mattina prima delle 7 (cioè quando la gente si prepara per andare al lavoro) o la sera dopo le 22 (quando si registrano i più alti picchi di affluenza sui social network).
Volete volare al prezzo più basso? Bisogna partire intorno a mezzogiorno. Vi serve un nuovo paio di scarpe? Meglio acquistarle di mercoledì (quando arrivano a costare fino al 40% in meno) mentre per le borse e la gioielleria i giorni migliori sono rispettivamente il giovedì e il venerdì.
Sappiatelo.

Eh sì, è tutta una questione di “timing” (Torino, periferia nord)

E ancora: non ne potete più della vostra metà? Evitate gli addii mattutini e optate per la sera, quando la pressione del sangue e il ritmo cardiaco diminuiscono facendo calare anche il rischio d'infarto (in effetti, ve la riuscite ad immaginare una scena tipo: ore 7, blin blin, suona la sveglia, spegni la sveglia, ti giri ed esordisci con un «Caro, non ti amo più»??? Forse solo una psyco avrebbe il coraggio di farsi un numero del genere!).
Per lo stesso motivo, un licenziamento non andrebbe mai comunicato prima delle dieci del mattino, mentre se vi accingete a un colloquio di lavoro, l'orario migliore è dopo le 18, perché gli ultimi incontri sono quelli che si ricordano di più e ci sono quindi più possibilità di epilogo felice.
In tal caso, se vorrete festeggiare una assunzione fresca-fresca, meglio prenotare un ristorante di martedì quando viene offerto un servizio migliore.
State per chiedere un aumento? Dopo le 17 avrete più chance di ottenerlo. Volete rivedere il vostro look? Dal parrucchiere è meglio andare di martedì, sono meno affollati e più disponibili. Sniff... Snifff... c'è aria di fiori d'arancio? Mark vi consiglia di convolare a giuste nozze di venerdì (ed evidentemente non conosce il detto “Nè di Venere né di Marte ci si sposa né si parte”) perché costa la metà rispetto al weekend.
Morale della favola: c'è sempre un'ora della giornata, un giorno della settimana o del mese, un periodo dell'anno o di una vita intera che si rivela ideale per fare qualcosa.
Dal canto mio, «sono scettica» per dirla alla Giorgia – Elio (avete presente “Ignudi fra i nudisti”?).
A me questa storia che ci debba essere un momento giusto (ma “giusto” in base a cosa?) per ogni azione, acquisto, pensiero mica convince.
Sapete cosa mi lascia così perplessa? Il fatto che nemmeno io (per dire una al cui confronto Monica Geller è una disorganizzata), nell'iper programmazione delle mie giornate, riesco a contemplare di destinare in maniera così maniacale un momento adatto per ogni singola incombenza da svolgere (tranne due eccezioni, una lavorativa e l'altra culinaria: le pergamene si traducono di pomeriggio e dopo un buon caffè doppio, pena l'abbiocco istantaneo, mentre alle ore 19 della domenica scatta il coprifuoco e l'unica operazione consentita è quella di fiondarsi in cucina e preparare, impastare, stendere, guarnire, eccetera... l'eccelsa pizza – made by Rose – fatta in casa).


E voi? Come siete messi a “timing”?
Ci sono delle azioni che svolgete solo in determinati orari? Andate anche voi, come Mark, in cerca del momento giusto? O, come la Betta, vi lasciate guidare dall'istinto del momento?